Incontri ravvicinati in terra di confine

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Ho incontrato due volte uomini e donne di paesi arabi e del nord Africa ai cancelli antistanti il “Villaggio degli Aranci” di Mineo perché volevo addentrarmi per quanto possibile nella maniera più diretta, nella questione degli sbarchi massicci avvenuti da parte di intere popolazioni provenienti d’oltre mare in Sicilia.
Volevo vedere e conoscere dal vivo una parte di quei corpi migranti che hanno superato le insidie del canale di Sicilia e che dopo il clamore del loro esodo biblico nell’isola di Lampedusa, erano stati trasferiti nel loro malcontento e in quello degli abitanti di Mineo, al Villaggio degli Aranci, costruito originariamente da affaristi privati per dare accoglienza a militari americani di stanza nella vicina base militare di Sigonella.
Mi sono recata lì insieme ad amiche ed amici dei gruppi pacifisti di Catania con i quali lavoriamo politicamente insieme ogni volta che se ne presenta l’occasione per riflettere su delle precise questioni o dar vita a iniziative, portando con noi cibi e bevande, abiti confortevoli, musica e soprattutto molta emozione, aspettative e curiosità.
Giunta all’appuntamento, la mia prima impressione è stata quella di avere questa volta davanti, uomini di popoli (le donne sono sopraggiunte solo alla fine dell’incontro) mai incontrati che riuscivo a vedere per la prima volta. Svanite le immagini di masse umane senza volto sbarcate da traballanti carrette del mare incamerate dalle angoscianti trasmissioni televisive, svanite le scene dei conflitti coi lava vetri ai semafori cittadini, sostituite da una giostra di volti giudicanti, gentili, preoccupati e carichi di speranza.
Gli sguardi man mano cominciarono a incrociarsi, a rimandarsi il senso di ataviche risonanze che opacizzavano le classiche e scontate profferte d’aiuto e solidarietà. In fondo agli occhi di tutti: siciliani, arabi e indiani, ha navigato per il lungo guizzo di un attimo la pena condivisa dei popoli negati e la tenera empatia delle donne rivolta alle amiche ardite provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo.
E oltre alle lingue, ai gesti, ai sorrisi, ai cibi, alle musiche, alle danze e ai bei costumi degli afghani, una portata immensa mi è balzata subito agli occhi: la bellezza di tutta quelle risorse umane desiderose di contare sulla scena del mondo e la vitalità delle loro giovani e interessanti esistenze che mezzo mondo s’industria a ignorare.
Ora gli abitanti di Mineo hanno cambiato atteggiamento nei confronti delle donne e soprattutto degli uomini semi-reclusi al villaggio degli Aranci che hanno imparato a conoscere grazie alla buona volontà dei migranti che affrontano 3 chilometri di salita verso il paese per andare a conoscerli e non pochi, sollecitati da un centro sociale di Mineo, vogliono trascorrere con loro la festa del 25 Aprile per incoraggiare qualcuno a rimanere a lavorare a Mineo, terra di aranceti e di grandi pensatori.
Anch’io ho ridimensionato in parte dopo aver conosciuto da vicino i migranti al villaggio degli Aranci, aver visto le loro facce pulite e aver dato loro fiducia, il senso di tremenda paura e di preoccupazione provata per le donne di Lampedusa quando arrivavano le notizie della permanenza di migliaia di uomini (con picchi anche di sei mila, soltanto uomini) sull’isola, che mi ha portata, parlandone con le donne e con gli uomini di “Città Felice”, scatenando non poche contraddizioni, a pensare di suggerire alle lampedusane di fuggirsene via immediatamente dall’isola.
A farmi cambiare posizione ci ha pensato anche però, la grandezza dimostrata da donne e da uomini di Lampedusa che hanno saputo tener testa all’emergenza che si era abbattuta su di loro e che per dirla con le parole di Ignazio Marino pronunciate durante la trasmissione “Agorà” del 29 marzo su Rai 3: “hanno messo in moto e dato vita all’umanità che è del Mediterraneo e che manca a questo Governo”. Ma non soltanto al Governo, aggiungerei io…
Sollecitate/i da tutta questa miriade di eventi a dir poco emozionanti e coinvolgenti che interrogano nel profondo ciascuna/o, parlandone con donne e uomini delle Città Vicine, abbiamo deciso di organizzare proprio a Lampedusa la nostra Vacanza Politica della fine di agosto per sentirci presenti in quella terra di confine. Stando vicine agli abitanti coraggiosi dell’isola e vicine anche a chi depone ogni aspettativa in quei viaggi della speranza rischiando la vita in mezzo al mare.
Ma anche e soprattutto perché Lampedusa è una bellissima isola e speriamo divenga un fiore all’occhiello per le Città Vicine!
Anna Di Salvo
Catania 21 aprile 2011

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