La lenta agonia del sistema sanitario pubblico italiano

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I numeri sono quelli del Documento di Economia e Finanza (DEF), a citarli è Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE, organizzazione senza fini di lucro che ha lo scopo di promuovere e realizzare attività di formazione e ricerca in ambito sanitario. E intende contribuire alla sostenibilità del servizio sanitario pubblico, che deve essere equo e universalistico.

“Rispetto alle previsioni di spesa sanitaria sino al 2027 – afferma Cartabellotta – il DEF 2024 certifica l’assenza di un cambio di rotta e ignora il pessimo ‘stato di salute’ del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), i cui princìpi fondamentali di universalità, uguaglianza ed equità sono stati traditi, con conseguenze che condizionano la vita delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche più deboli e delle persone residenti nel Mezzogiorno”.

Parole gravi che confermano le difficoltà cui sono costretti tutti coloro che subiscono i lunghissimi tempi di attesa, l’affollamento dei pronto soccorso, la migrazione dal sud al nord, o chi, addirittura, deve rinunciare alle cure perché non può sostenerne il costo.

Secondo la nostra Costituzione, “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. E’ pensabile garantire tutto questo e nel contempo essere ultimi, fra i paesi del cosiddetto G7, rispetto agli investimenti in sanità?

Nel 2023 il rapporto spesa sanitaria/PIL (prodotto interno lordo) è stato del 6,3%, con una spesa – in termini assoluti- di 131.103 milioni di Euro. Va ricordato che nel 2022 il suddetto rapporto era stato del 6,7%, senza contare la crescita dell’inflazione che, l’anno scorso, ha inciso ulteriormente in senso negativo.

Nel 2024, secondo le previsioni, il rapporto spesa sanitaria/PIL dovrebbe essere del 6,4%. Apparentemente ci troveremmo di fronte a un piccolo passo avanti, sia pure inadeguato a dare una scossa positiva al nostro servizio sanitario nazionale.

Purtroppo, come afferma sempre Cartabellotta, tale incremento “è illusorio: infatti, in parte è dovuto ad un mero spostamento al 2024 della spesa prevista nel 2023 per i rinnovi contrattuali 2019-2021, in parte agli oneri correlati al personale sanitario dipendente per il triennio 2022-2024 e, addirittura, all’anticipo del rinnovo per il triennio 2025-2027.

Una previsione poco comprensibile, visto che la Legge di Bilancio 2024 non ha affatto stanziato le risorse per questi due capitoli di spesa”. Potremmo quasi definirlo un bluff.

Neanche le previsioni relative al periodo 2025/27 invertono questa tendenza negativa. In questo triennio, infatti, a fronte di una crescita media annua del PIL nominale del 3,1%, il DEF 2024 stima al 2% la crescita media annua della spesa sanitaria. Il che, se le previsioni saranno rispettate (ma la situzione potrebbe rivelarsi peggiore del previsto) il rapporto spesa sanitaria/PIL si ridurrebbe al 6,3% nel 2025/26 e al 6,2% nel 2027.

In sostanza, minori investimenti che, certo, non determineranno un migliore funzionamento dell’intero sistema. Non a caso, in accordo con le regioni, è stato rinviato, per mancanza di fondi, l’aggiornamento dei nomenclatori tariffari, posticipando ancora una volta l’esigibilità dei “nuovi” Livelli Essenziali di Assistenza, ben 8 anni dopo la loro approvazione.

Nonostante questi dati, il governo Meloni sostiene di aver messo al centro delle proprie scelte il rilancio del sistema sanitario. Ed effettivamente una persona poco attenta potrebbe cadere nel tranello. Il governo, infatti, cita a suo favore l’ammontare annuale complessivo della spesa sanitaria, che, effettivamente, dal 2012 è quasi sempre cresciuto. Ma omette, colpevolmente, di fare riferimento al rapporto spesa/PIL che dimostra inequivocabilmente l’esatto contrario.

Ancora, proseguendo con queste politiche, il gap della spesa sanitaria pro-capite italiana con la media dei paesi europei crescerà ulteriormente con il risultato, come ricorda Cartabellotta, di affondare “definitivamente il Sistema Sanitario Nazionale, compromettendo il diritto costituzionale alla tutela della salute delle persone, in particolare per le classi meno abbienti e per i residenti nelle Regioni del Sud”.

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