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Morire in mare

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Almeno 10 navi, sottomarini, droni, sonar e un argano con 8 chilometri di cavo, questi i mezzi impegnati dalla coalizione internazionale di ricerca, guidata dalla guardia costiera degli Stati Uniti e composta da Canada, Regno Unito e Francia per tentare di recuperare il Titan prima che fosse troppo tardi. Un’operazione che ha tenuto, grazie alla continua copertura dei media, il mondo col fiato sospeso in attesa di notizie.

Dopo la sparizione e la faraonica ricerca, infine, la morte accertata di cinque signori che rappresentano il meglio della nostra opulenta società, scomparsi nel corso di un’esperienza esclusiva su un piccolo sommergibile nel tentativo di avvicinarsi al relitto sommerso del Titanic, non si sa in nome di quale importante scopo.

Potrebbe essere un segnale positivo il fatto che, se c’è anche una sola vita in pericolo, tutti ci prodighiamo per salvarla. Anche solo una vita, infatti, è preziosa, irripetibile, unica.

Ed è un bene essere puntigliosamente informati sui fatti, sulle condizioni in cui si sono verificati e sulle loro conseguenze. Anche quando i media esagerano stimolando un discutibile voyeurismo. Se serve per evitare il peggio, possiamo “perdonarli”.

Chiediamo, però, a tutti coloro che hanno progettato e condiviso, in nome della sacralità della vita umana, questa operazione di ricerca estremamente costosa: perché non si applica questo stesso metro nei confronti di tutti?

Sappiamo di fare una domanda retorica. Nel sentire comune, purtroppo, le vite non sono tutte uguali. Se scappi dalla guerra, dalla fame, dalla dittatura o dalla carestia. affidando la tua vita e quella dei tuoi cari (pagando proporzionalmente tanto quanto è stato pagato il biglietto del Titan) ad imbarcazioni destinate al naufragio, bastano poche righe per diffondere la notizia. E, spesso, quelle poche righe non raccontano neanche quanto accaduto, ovvero che sarebbe bastato l’intervento di una sola nave, non di una coalizione internazionale, per evitare un’ennesima strage. Così, in attesa della caccia ai trafficanti nel globo terracqueo, morire nel Mediterraneo è diventato normale e non fa più notizia.

Fortunatamente la morte, come ha scritto De Filippo, è seria, è una “livella” che elimina tutte le differenze. Quanto a noi, diversamente da altri periodi storici in cui si poteva far finta di non sapere, non potremo dire di non aver fatto nulla perché inconsapevoli.

Cantava Fabrizio De Andrè: “Anche se allora vi siete assolti/Siete lo stesso coinvolti”. A lui si rivolgeva Don Gallo scrivendo: “…Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi. Restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza…”.

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