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Gaza e il diritto internazionale, crimini di guerra, contro l’umanità o genocidio?

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missili che piovono su piatti vuoti alzati per accogliere cibo

Una lunghissima fila di grossi camion carichi di merce attende di essere controllata prima di attraversare il valico di Kerem Shalom, chiuso da un cancello. Sono camion che dovrebbero portare aiuto a Gaza: cibo, farmaci, attrezzature. Materiale che deve essere controllato dall’esercito israeliano che ha il potere di accettare l’ingresso dei prodotti o bloccarlo, anche solo per una bolla di accompagnamento inesatta. O perché di un oggetto si sospetta un eventuale, possibile uso militare, anche se si tratta di una sedia a rotelle o di una incubatrice. Una sola scatola respinta è sufficiente per rifiutare l’intero carico, mentre – al di là del varco – si muore di fame.

Le immagini sopra descritta sono alcune clip del documentario proiettato venerdì 3 maggio in un’aula dei Benedettini, in apertura dell’evento “Violazione dei diritti umani: l’occupazione di Gaza”, organizzato dai Catanesi solidali con il popolo palestinese.

A spiegare il senso del filmato é Adriana Zega di Oxfam, appena tornata da Gerusalemme. Ha raccontato delle distruzioni, della mancanza di acqua potabile, delle associazioni umanitarie che non possono accedere ad alcuni territori, dei bambini nati in mezzo alle macerie che corrono il rischio – se sopravviveranno – di non avere nemmeno una identità riconosciuta.

Di taglio giuridico l’intervento di Triestino Mariniello, docente di diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool, componente del team legale delle vittime di Gaza di fronte alla Corte penale internazionale.

“Il diritto internazionale” afferma “vieta la privazione di beni essenziali come metodo di guerra”. E, infatti su Gaza, sta indagando la Corte Penale Internazionale, che potrebbe emanare dei mandati di arresto.

Non essendo ancora stata presa nessuna misura concreta, c’è incertezza su quali persone e su quali reati potrebbero essere colpiti. Eventuali mandati di arresto potrebbero riguardare i cosiddetti ‘pesci piccoli’, persone che non rivestono posizioni apicali, e le indagini potrebbero concentrarsi solo su singoli episodi tralasciando il contesto, che è invece l’elemento più grave.

C’è quindi un margine di discrezionalità, ma è difficile che la Corte non intervenga affatto. Verrebbe meno al suo ruolo e perderebbe credibilità.

Ci sono, comunque, molti giochi politici che ruotano attorno a questo possibile intervento. Agenzie di stampa israeliane – sostiene Mariniello – stanno facendo circolare la voce di imminenti mandati di arresto per indurre i paesi alleati, gli USA innanzi tutto, a fare pressione sulla Corte affinchè non li emetta.

L’attuale procuratore capo, Karim Ahmad Khan, ha già preso posizione ricordando che affamare intenzionalmente una popolazione si configura come un crimine di guerra, ma anche l’assedio di Gaza in tempi non di guerra era già inaccettabile e potrebbe configurare il reato di crimine contro l’umanità, così come le distruzioni e l’evacuazione forzata potrebbero configurare quello di genocidio.

Senza farsi illusioni sul diritto internazionale, che ha certamente dei limiti – prosegue Mariniello – dobbiamo riconoscere l’importanza del fatto che un’indagine sia stata avviata, anche grazie al fondamentale lavoro di documentazione condotto dalle ONG palestinesi. L’impunità della classe dirigente israeliana è stata scalfita, la sofferenza del popolo palestinese è stata riconosciuta. “L’apertura del procedimento è, quindi, già una conquista”. In passato si è spesso deciso di non decidere.

C’è anche il ricorso del Sud Africa presso la Corte Internazionale di Giustizia, massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite, per lesioni gravi di natura fisica e psicologica, l’imposizione di misure atte a distruggere la popolazione, pe la distruzione della sanità e la privazione di beni essenziali.

Un ricorso in cui le prove a carico di Israele sono le dichiarazioni delle stesse autorità israeliane. Le parole del ministro della Difesa Yoav Galant, che ha prospettato un “assedio totale”, “niente elettricità, niente acqua, niente gas” per quelli che sono “animali umani”, o quelle del presidente Isaac Herzog che ha dichiarato che “a Gaza non ci sono civili”, o la citazione biblica di Amalek, fatta da Netanyahu, “Uccidete tutti gli uomini, le donne, i bambini e gli animali”. Sono 500 le dichiarazioni portate a dimostrazione di un intento genocidiario.

La Corte di Giustizia ha già emesso delle ordinanze che Israele non ha rispettato. Ora ha ricevuto un nuovo ricorso ed emesso altre misure che sono vincolanti, nonostante qualcuno affermi diversamente.

Per far fronte alle esigenze elementari della popolazione di Gaza, per esempio, occorrerebbe una quantità di prodotti e materiali per il cui trasporto servirebbero 700/800 camion al giorno, un numero di gran lunga superiore a quelli che Israele, fra mille difficoltà, ha fatto entrare fino ad ora ogni giorno.

Ci sono poi obblighi imposti a paesi terzi, anche questi spesso non rispettati, come nel caso dell’Italia che ha sospeso – su richiesta degli USA – i finanziamenti a Unrwa (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente) e continua ad inviare armi ad Israele. In entrambi i casi – ricorda Mariniello – vengono violati gli obblighi di prevenzione del genocidio.

Alla luce del diritto internazionale l’Italia dovrebbe anche adottare sanzioni nei confronti di Israele, come ha fatto nei confronti della Russia di Putin. E fare pressione nelle sedi opportune per il cessate il fuoco permanente, anche per garantire la distribuzione dei beni essenziali.

Mariniello sottolinea, infine, l’importanza della mobilitazione popolare internazionale, che è infatti temuta dalle autorità e che può incidere sulle scelte politiche dei governi.

Le sue conclusioni si legano a quanto detto da Gianni Piazza, docente di sociologia dei fenomeni politici presso l’università di Catania. Inquadrando i fatti di Gaza nel contesto internazionale, Piazza ha citato le azioni dimostrative organizzate nelle piazze e soprattutto nelle università di vari paesi, tra cui l’Italia e gli Stati Uniti. Manifestazioni di solidarietà nei confronti della Palestina e di dissenso nei confronti di Israele, che hanno avuto ed hanno non solo un valore pratico, di pressione politica (a Torino, a Pisa, gli studenti hanno ottenuto delibere dei senati accademici), ma anche un forte valore simbolico.

Davvero inquietante il suo cenno alla nascita, negli Stati Uniti (ma si sospetta che si stiano formando anche in Italia), di squadre private paramilitari che attaccano chi protesta e vengono lasciate agire dalle forze dell’ordine, che delegano di fatto a loro il lavoro sporco.

Quanto alle accuse di antisemitismo che vengono rivolte a chi critica lo Stato d’Israele e la sua politica violenta nei confronti della popolazione palestinese, Piazza nota la “confusione operata dai media occidentali tra antisionismo e antisemitismo, come se anche le popolazioni arabe non fossero semite”.

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