/

Drone USA uccide Al Zawahiri, capo di Al Qaeda

3 mins read

Ci sono notizie che vengono proposte, da tutti i media, come ‘normali’, quasi si trattasse di ordinaria amministrazione. Così è accaduto per l’assassinio di Al Zawahiri, uno dei capi di Al Qaeda, da parte delle forze speciali USA, rivendicato dal presidente Biden: “su mio ordine, gli Stati Uniti hanno effettuato con successo un attacco aereo su Kabul, in Afghanistan, uccidendo l’emiro di Al-Qaeda”.

Ettore Palazzolo, costituzionasta e redattore di Argo, convinto del fatto che “anche il peggiore dei criminali, ha diritto ad un equo processo” si interroga e ci interroga sulle tragiche conseguenze della violazione dello stato di diritto.

Come qualificare l’assassinio tramite un drone, da parte di forze Speciali Usa e dalla CIA, di Al Zawahiri, uno dei capi di Al Queeda, l’organizzazione terroristica da lui fondata assieme a Bin Laden?

Non si può certo considerare un atto di guerra contro Al Queeda, la quale, seppure ancora esistente, nonostante i colpi ricevuti, e la concorrenza ben più agguerrita dello Stato islamico, non mi pare costituisca un pericolo per l’ordine pubblico mondiale, tale da richiedere un tipo di operazione del genere.

E tanto meno un atto di giustizia… La giustizia comporta un regolare processo, anche il peggiore dei criminali, si è sempre detto, ha diritto ad un equo processo nel quale un imputato, a fronte delle accuse formulate da un Procuratore, ha diritto di contestare nel contraddittorio le prove presentate dall’Accusa, e di venire giudicato da una Corte imparziale, come la Corte penale internazionale (vedi scheda), con sede all’Aja istituita per giudicare sui crimini di guerra.

Ricordiamo il processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti, responsabili di una serie sterminata di crimini, anche se non si sfugge all’obiezione che viene spesso rivolta, di rappresentare la giustizia dei vincitori sui vinti, a parte poi l’aspetto della pena di morte, che mi trova personalmente contrario, ma questa è davvero un’altra questione.

Non si può essere assertori dei valori dell’Occidente e praticarli a giorni alterni. E lo Stato di diritto costituisce uno dei principi fondamentali di questi valori. Dunque tale assassinio non è stato un atto di giustizia, come anche nei media di tutto il mondo occidentale si vuole far credere, ma pura e semplice vendetta di Stato.

Del resto c’erano già forti avvisaglie di tale clamorosa violazione dei principi dello Stato di diritto con la reclusione, nel campo di concentramento di Guantanamo, di numerosi individui semplicemente sospettati di attività terroristica contro gli USA e privati di qualunque forma di garanzia individuale.

Le garanzie individuali del giusto processo non sono gentili concessioni che vengono offerte a persone considerate meritevoli, in particolare i cittadini USA o europei, ma sono espressioni di un principio di civiltà giuridica, costitutivo di quel complesso di valori e principi che costituiscono il nucleo fondamentale dello Stato di diritto (al di fuori di questo c’è la tortura, l’ingiusta detenzione, la vendetta, l’uccisione mirata degli avversari politici, ecc.).

E questo, anche per non offrire alibi a chi, governanti di Russia, Cina o Iran – campioni, com’è noto di democrazia e di rispetto dei diritti umani – critica i paesi occidentali perché non mantengono fede ai principi enunciati, accusandoli, in buona sostanza, di ipocrisia.

In conclusione, anche se il contrasto al terrorismo internazionale, come del resto alla pirateria, necessiti di strumenti differenti (intelligence, e talvolta l’uso della forza oltre che, ovviamente, un coordinamento internazionale), un Tribunale internazionale per i crimini del terrorismo internazionale è altamente auspicabile, e a questo debbono cooperare tutti gli Stati a partire da quelli che si riconoscano nei principi dello Stato di diritto, e quindi i paesi europei, gli USA, il Canada, l’Australia, ecc…, perché la lotta al crimine internazionale non può essere considerato “cosa propria” di un qualsivoglia Stato, né uno Stato può – unilateralmente e/o per tacito consenso di altri – assumere su di sè la funzione di “gendarme del mondo”.

Voglio lasciare impregiudicata la questione se, per giudicare i crimini di terrorismo internazionale, occorra un nuovo trattato che integri quello esistente, ovvero sia sufficiente quello attualmente in vigore, lo Statuto di Roma del 1998. Nel qual caso la Corte penale internazionale dell’Aja sarebbe già competente anche per questo tipo di crimini. Occorre d’altronde rispettare, per la sua legittimazione, ma anche per il suo efficace funzionamento, da un lato la sovranità degli Stati nell’aderire a tale Tribunale, sottoponendosi alla sua giurisdizione e dall’altro la sua efficacia nei riguardi, tendenzialmente, di tutti gli Stati.

A tale proposito fa francamente sorridere il Presidente USA quando invoca il deferimento di Putin alla Corte internazionale contro i crimini di guerra, per ciò che avviene in Ucraina. Corte, peraltro, il cui Trattato istitutivo il governo USA si è rifiutato di ratificare, almeno a tutt’oggi (come, del resto, Cina, Russia, Israele, India, numerosi Stati mediorientali e dell’Asia centrale, come pure l’Ucraina).

Con la conseguenza che, nel caso dovessero venire incriminati militari o alti dirigenti russi (per crimini commessi in Ucraina o in Cecenia, ecc…), o USA (vedi crimini in Irak ed Afganistan), ma anche cinesi (per i crimini e la violazione dei diritti umani in Sinkiang/Uigur, Tibet, ecc.) o iraniani, ecc., i cittadini di tali Stati sarebbero totalmente immuni dalla giurisdizione della Corte internazionale.

C’è poi il rischio concreto, assolutamente da evitare, che venga considerato e percepito come il Tribunale che colpisce i cittadini di Paesi poveri e gestito dagli Stati più forti..

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Gli ultimi articoli - Diritti