Il magistrato Sebastiano Ardita ha dedicato ieri un toccante post alla cosiddetta strage dei ragazzini. Anche noi vogliamo ricordare quel tragico episodio. Era il 7 luglio 1976, notte fonda. Da lì a poco, quattro adolescenti – Benedetto Zuccaro (15 anni), Giovanni La Greca (14), Riccardo Cristaldi (15) e Lorenzo Pace (14) – sarebbero stati brutalmente assassinati dal clan Santapaola, perché ritenuti colpevoli di aver scippato la madre di Nitto Santapaola.
Vogliamo ricordarli, accostando il racconto di quella strage — così come ci è stato restituito dal pentito di Cosa Nostra Antonino Calderone — a una riflessione del presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania, Giambattista Scidà, sulla condizione dei minori nella città etnea. Un collaboratore di giustizia e un grande magistrato: due voci diverse, ma entrambe fondamentali per comprendere la sorte di molti adolescenti catanesi: ieri come oggi, stretti tra violenza criminale e marginalità sociale.
Il racconto di Antonino Calderone
“L’assassinio di quei ragazzi è la cosa più sporca della mia vita. È la cosa più vergognosa fatta dalla mafia. I mafiosi, i difensori dei deboli, li hanno voluti sopprimere. E io ho obbedito.”
I quattro erano colpevoli — o ritenuti tali — di aver scippato e maltrattato la madre di Nitto Santapaola, che nella caduta si era fratturata un braccio. “San Cristoforo era pieno di ragazzini che rubavano, scippavano, rompevano i vetri delle case. Ce n’erano a sciami, come api per le strade”. Furono davvero loro? Si rendevano conto di chi fosse quella donna? E se anche lo avessero saputo, era sufficiente per ucciderli? Si ammazza così un bambino di tredici anni?”,
“Non dimenticherò mai quella carovana di quattro automobili che arrivò a notte fonda davanti alla stalla per prelevare i ragazzini. Due di loro furono fatti salire sulla macchina che guidavo io. Uno era così piccolo che quasi scompariva sul sedile posteriore. La loro vita terminò nello stesso pozzo in cui erano stati gettati i cadaveri di altri uomini. Furono strangolati. Mio cugino Marchese mi confessò che, nello stringere il cappio intorno al collo di uno di loro, non ebbe il coraggio di finire: il ragazzo fu gettato vivo nel pozzo.”
“La stampa e le forze dell’ordine, all’epoca, non diedero particolare rilievo alla scomparsa dei quattro”. Si parlò dei “soliti ragazzi scapestrati” allontanatisi da casa. “Le famiglie da cui provenivano erano di umile condizione e la vicenda fu presto dimenticata”.
La voce di Scidà: “La condizione dei minori svantaggiati”
Giambattista Scidà, presidente del Tribunale per i Minorenni, parlò della “condizione dei minori appartenenti agli strati svantaggiati della popolazione”, individuando due elementi fondamentali.
L’esclusione sociale: intere masse urbane, relegate in quartieri abbandonati, escluse dai benefici della cittadinanza sociale. Per i bambini e gli adolescenti, ciò significa una cosa precisa: disconoscimento del diritto all’educazione.
La spinta a delinquere: soggetti segnati da una grave deprivazione educativa, cronicamente privi di assistenza e formazione, abbandonati da un sistema scolastico che registra tassi sconcertanti di abbandono precoce. Esposti a pressioni sociali travolgenti, “i minori si comportano come una popolazione spossata da antiche endemie, sulla quale si abbatte una virulenta pestilenza. Cedono, in gran numero. Al ‘che fare’ che incalza, nessuna seria risposta può essere data, finché non si riconosce l’itinerario che ha prodotto questa tragica realtà.”
Scidà forniva dati allarmanti: i ragazzi residenti in sette quartieri di Catania — circa 157 mila abitanti, corrispondenti allo 0,27% della popolazione nazionale — rappresentavano il 9% dei minori arrestati per rapina in tutta Italia.
Il presidente si batté per “garantire ai minori catanesi un percorso educativo fin dalla prima infanzia, con interventi mirati a colmare lo svantaggio economico, sociale e culturale delle famiglie, specie nelle periferie degradate e nei quartieri di storico abbandono”.
Oggi
Sono passati 33 anni dalle parole di Calderone e Scidà. E 49 dalla notte della strage. Ma Catania continua a essere una delle capitali della criminalità minorile. E quando un fenomeno persiste con la stessa intensità per decenni, negli stessi luoghi, non può più essere considerato un problema esclusivamente criminale. È parte strutturale della storia sociale, politica e civile della città. E ci interroga. Chiama in causa la città, le sue classi dirigenti, le sue diseguaglianze, le sue periferie. Chiama in causa anche il ruolo dello Stato nei confronti di una grande area metropolitana del Mezzogiorno.
Oggi, a Catania:
- Solo il 5% dei bambini ha accesso agli asili nido pubblici;
- Solo il 9% frequenta scuole elementari a tempo pieno;
- Nelle scuole medie il 48% degli studenti ha livelli insufficienti nelle competenze alfabetiche e oltre il 60% in quelle numeriche.
La città ha la quota più bassa (74%) di persone di 20-24 anni con almeno il diploma di scuola secondaria di II grado, una delle maggiori percentuali (14%) di giovani che non studiano e sono fuori dal mercato del lavoro (Neet,14%). La percentuale di laureati tra i 25 e i 39 anni è intorno al 20%, è ben al di sotto della media nazionale (30%).
Questi numeri raccontano uno spreco insostenibile di futuro per troppe ragazze e troppi ragazzi. Un costo altissimo, che grava sull’intera città. E’ una strage silenziosa, fatta di diritti negati e di diseguaglianze intollerabili.
Non si può affrontare tutto questo senza offrire alternative vere, concrete, visibili.
Senza creare opportunità reali di integrazione. Senza proporre, giorno dopo giorno, modelli diversi di convivenza, legalità, dignità.
Stiamo condannando intere generazioni alla morte civile. Questo stato di cose va rifiutato, combattuto, cambiato. Occorre una svolta. Adesso.
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Il racconto di Antonino Calderone è contenuto in Pino Arlacchi, Gli uomini del disonore. Arnaldo Mondadori, 1992
I saggi di Giambattista Scidà, dai quali abbiamo tratto alcuni passi, sono: Per non essere di coloro che tacciono. La criminalità alla radice dei fatti; Ancora un appello per i minori di Catania. Pubblicati nel volume Eresie. Il caso Catania e il problema dei minori, Rubettino, 2012


