Anche se da giorni non se ne parla più, il sequestro dei beni di Mario Ciancio è stato un fatto importante per la nostra città.
Non solo è stato toccato un ‘potente’ che sembrava intoccabile, c’è di più.
L’intreccio di relazioni e di interessi che lo lega ad altri personaggi di spicco della vita sociale ed economica locale fa sì che ci possano essere ricadute dall’esito ancora aperto. O che su tutto cada un silenzio tombale.
Proviamo a richiamare alla memoria alcuni dati.
Innanzi tutto Ciancio non è (stato) solo un editore ma un imprenditore a tutto campo.
Proprietario fondiario che ha fatto – ad esempio – convertire in edificabili i propri terreni di tipo agricolo, dimostrando di avere il potere di orientare a suo favore atti della Pubblica Amministrazione.
Un vero e proprio “modus operandi ampiamente collaudato” che prevede “l’acquisto di aree a destinazione agricola di rilevante estensione, della successiva presentazione di progetti per la realizzazione di parchi commerciali e di zone residenziali e della contestuale approvazione delle necessarie varianti urbanistiche, con il conseguente, esponenziale incremento del valore di mercato dei terreni acquistati”, come si afferma nella sentenza di primo grado su Raffaele Lombardo.
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Proprio perchè i terreni in questione erano di Ciancio, il giudice della sentenza Lombardo disponeva la “trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Catania con riferimento a Ciancio Sanfilippo Mario per le determinazioni di competenza”.
Ci sono quindi nel suo ‘curriculum’ varie operazioni speculative, edilizie e finanziarie, come nel caso delle Porte di Catania, del progetto Stella Polare o Xirumi (villaggio degli americani), dove al posto degli aranceti dovevano sorgere casette a schiera unifamiliari, con verde privato, parcheggi, scuole, campi sportivi e negozi, del Pua (Piano urbanistico attuativo) che prevede una colata di cemento alla Plaia, con tanto di palazzo dei congressi, acquario, sale cinematografiche, parco dei divertimenti.
E poi il parco commerciale Sicily Outlet Village di Dittaino, in provincia di Enna. Oltre a essere proprietario dei terreni, Ciancio era socio della Dittaino Development che avrebbe affidato parte dei lavori a Basilotta e Incarbone, entrambi vicini a Cosa nostra. Basilotta, ormai defunto, considerato il “re del movimento terra”, Incarbone definito dai pm dell’operazione Iblis “altro imprenditore a disposizione dell’associazione mafiosa”.
Su Ciancio pesano anche le sentenze relative alla vicenda dell’Ospedale Garibaldi, da cui emerge un interesse dell’imprenditore affinché l’aggiudicazione della gara per la costruzione dell’ospedale avvenisse a favore di un’azienda collegata all’associazione mafiosa.
Ancora. Come ha detto in conferenza stampa il procuratore Zuccaro, Ciancio ha implementato il suo patrimonio “giovandosi anche di finanziamenti occulti” e favorendo fortunati investimenti ai suoi ‘sodali’ mafiosi.
Sotto osservazione ci sarebbero “relazioni pericolose”, rapporti poco chiari con la pubblica amministrazione, canali finanziari per niente trasparenti, emersi dall‘esame dei bilanci effettuato dalla importante società internazionale Pwc, su incarico della stessa procura.
L’indagine a carico di Ciancio, per concorso esterno all’associazione mafiosa, risale a quasi dieci anni fa ed ha avuto un percorso tortuoso, con una richiesta di archiviazione (nel 2012, bocciata dal giudice per le indagini preliminari), un successivo rinvio a giudizio, seguito nel 2015 da una richiesta di non luogo a procedere, con relativo ricorso dei pubblici ministeri e delle parti civili, e una bocciatura della Cassazione.
Nella richiesta di non luogo a procedere, la giudice Gaetana Bernabò Distefano, definisce Ciancio “figura centrale della vita della città di Catania, dominatore assoluto delle principali vicende che hanno interessato lo snodo imprenditoriale della città, della sua provincia e, forse, anche oltre. [..] punto di riferimento di affari di vario genere, con un rimando continuo alla sua posizione verticistica, inducendo a considerarlo al vertice di qualcosa di più grande che non la direzione del giornale “La Sicilia”. (p. 132).
DOCUMENTI
La giudice aveva quindi individuato il ruolo centrale svolto da Ciancio in città, in provincia, e non solo, anche se si era espressa per il non luogo a procedere considerando, tra l’altro, non previsto dalla legge il reato di concorso esterno all’associazione mafiosa.
Una affermazione che aveva portato la Cassazione ad annullare la sentenza, nella quale la giudice era anche entrata nel merito della colpevolezza dell’indagato, sebbene a lei spettasse, in quanto Gup, di accertare soltanto la sostenibilità dell’accusa nel dibattimento.
Non sappiamo quanto possano essere penalmente rilevanti alcune delle intercettazioni riportate nella sentenza Bernabò Distefano e non considerate significative da quest’ultima.
Non ci pare comunque trascurabile, almeno a livello descrittivo, che un capomafia come Vincenzo Aiello, parlando con amici e parenti, affermasse che Virlinzi e Ciancio a Catania sono “padroni”, perchè hanno comprato tutto, “e nessuno gli dice niente”, magistratura compresa
Sulle responsabilità della magistratura si è espresso lo stesso procuratore Zuccaro che ha parlato di una giustizia che “non ha voluto e potuto essere all’altezza dei suoi doveri istituzionali”.
Ecco perchè il processo a Ciancio è un processo a una parte consistente della città, coinvolge in modo più o meno indiretto, altri imprenditori ma soprattutto uomini politici e pubblici amministratori che hanno dimostrato di non avere per niente a cuore gli interessi generali.
Qualche cattivone da lungo tempo afferma che i milioni di Euro di Ciancio rivenuti in Svizzera e sequestrati dalla Guardia di Finanza Italiana , siano frutto delle costosissime bobine di carta da stampa non acquistata in Italia ma importata dall’estero. Qualche altro malpensante ne deduce gravi complicità in quello che in Commissione Nazionale Antimafia fu definito “porto delle nebbie”, cioè il porto in cui qualche trasportatore sdogana e poi consegna simile tesoro a Ciancio. Qualche sospettoso pensa che le fonti finanziarie degli investimenti immobiliari di Ciancio, nascano dal porto e siano allevate e mantenute con l’ aumento dei costi di stampa e con i benefici di regime fiscale di cui gode il settore. Saremo pronti a scusarci se Ciancio e chi con lui dimostrassero come cattiverie le suddette ipotesi.
Il caso Ciancio mi fa ridere di compassione. In Sicilia ed a Catania in particolare hanno governato frotte di ignoranti e di banditi che hanno fatto strame del territorio, dell’ambiente e delle nostre ricchezze naturali. Puntare il dito contro Ciancio è solo un gioco maldestro che non condurà a nulla. Un vuoto a perdere con tanti avvocati e periti che guadagneranno tanti soldini. Forse quelli che non ha elargito Ciancio quando era in bonis. L’Idiozia della figura del mafioso per tentare di cambiare regime è solo una falsa illusione che in pernicioso Violante ha creato perf impedire la proliferazione delle Brigate rosse. Vi consiglio di leggere l’ultimo libro di Luciano Canfora dal titolo La scopa di don Abbondio. e di meditare su quanto scrive a pag. 25 dove lancia il suggerimento di stare attenti e di temere quelli che confidano sulla gestione del poptere tra ricchi e poveri. E’ solo una pia illusione.,