Di Costituzione e Lavoro si è parlato lo scorso 20 aprile, in un incontro/dibattito organizzato congiuntamente dal Coordinamento per la democrazia costituzionale di Catania e dalla Camera del Lavoro CGIL di Catania.
Dopo aver sottolineato l’importanza del tema lavoro nel dibattito dell’Assemblea Costituente, Ernesto De Cristofaro, storico del Diritto, ha ricostruito la nascita del diritto del lavoro nella storia dell’Italia repubblicana.
La tutela dai licenziamenti arbitrari ne è stata uno dei momenti cruciali, in particolare con lo Statuto dei lavoratori del 1970 che, all’articolo 18, prevedeva l’obbligo della giusta causa per i licenziamenti individuali, unitamente al reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato, sia pure limitatamente alle aziende con più di 15 dipendenti.
Oggi, ha proseguito, la Costituzione è uscita dalle fabbriche e i principi che garantivano il lavoro sono sotto attacco.
Sulla attuale congiuntura, con un diritto del lavoro in una situazione caratterizzata dalla mancanza di lavoro, è intervenuto Domenico Tambasco, giuslavorista del Foro di Milano.
Non vi può essere diritto del lavoro senza democrazia e neppure piena democrazia senza tutela forte del lavoro, ha detto. La libertà dal bisogno, garantita da un lavoro stabile, è infatti una precondizione per l’esercizio di tutti gli altri diritti
Molti i riferimenti alla Costituzione, dall’art. 36 che garantisce la dignità, oltre alla proporzionalità del salario al mantenimento della famiglia, all’art. 35.
Da questo punto di vista, il demansionamento, sia pure parziale, consentito dalla recente Legge, è contrario alla professionalità e alla dignità del lavoratore.
Iperprecarietà, flessibilizzazione e lavoro servile sono, inoltre, espressione di una società oligarchica in cui l’1% detiene la gran parte del potere e delle ricchezze.
I problemi aperti sono molti. La democrazia rischia di morire per assenza di lavoro e lo sviluppo della tecnica e dell’automazione ci conducono sempre più verso la fine del lavoro.
La Costituzione repubblicana aveva in qualche modo previsto ciò, con il secondo comma dell’art. 3 e con l’art. 38 (assistenza e previdenza). Da qui la necessità di prevedere per i lavoratori il diritto a un reddito sostitutivo, di cittadinanza o di inclusione.
Maurizio Balistreri, docente nell’Università di Messina, ha ricordato che la Costituzione considera la Persona quale destinataria dei diritti sociali, con gli art. 35-40 che contengono una sintesi dei principi costituzionali dello Stato sociale.
A fronte di numerose norme costituzionali che tutelano il lavoro, ve n’è una sola, l’art. 41, che concerne la libertà di impresa, o libertà di iniziativa privata. Ma anche questa è soggetta a numerosi vincoli, fra i quali, oltre a libertà, sicurezza e dignità umana, sta il limite sociale.
E’ il lavoro dipendente ad essere particolarmente tutelato dalla Costituzione repubblicana. L’art. 4, al 1° comma, sull’impegno dello Stato a promuovere le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro, evoca politiche di pieno impiego, implicando altresì la garanzia di stabilità del lavoro (e del posto di lavoro).
Nell’attuale fase storica, caratterizzata dalla globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia, predomina la tendenza a ridimensionare le Carte costituzionali, la democrazia e il potere dei lavoratori, comprensivo delle loro rappresentanza sindacali.
A fronte di ciò c’è una responsabilità della cultura, soprattutto economica, ma anche storica, politologica, che considera ineluttabile l’espansione progressiva e deregolamentata dei mercati. Si è formato un pensiero unico, che, a partire dagli anni 90, ha egemonizzato ampi settori della cultura anche di sinistra.
C’è anche una responsabilità delle organizzazioni sindacali. La legge Fornero è stata approvata in pochissimi giorni a fronte di pochissime ore di sciopero di protesta.
L’APE, ad esempio, la pensione anticipata con esborso economico, rappresenta una vera e propria tangente in favore delle Banche e delle Assicurazioni, le quali possono concedere nuovi prestiti a costi di mercato, lucrando sugli interessi.
Il diritto del lavoro è un diritto speciale. Oggi assistiamo a numerosi tentativi di cancellare questa specialità con il rischio di ridurre il lavoro a merce.
Notevoli sono le responsabilità dei Partiti Socialisti europei. In particolare in occasione dell’approvazione del Trattato sul “Fiscal compact” e del Pareggio di bilancio, che peraltro, solo nel nostro ordinamento, è stato inserito in Costituzione, all’art. 81.
Rimangono soltanto forze minoritarie a contrastare tutto ciò. Occorre una battaglia per difendere la sovranità popolare piuttosto che quella nazionale. Anche le forze “sovraniste”, purché abbandonino il nazionalismo, possono essere utili in questa battaglia.
Appassionato l’intervento di Salvatore Mazza del Foro di Catania, che ha ricordato che anche il codice civile del 1942 (quindi fascista) prevedeva una tutela del lavoro subordinato, allora molto avanzata, sia pure all’interno dell’ordinamento corporativo, ormai superato dalla storia.
La cultura giuridica che ha elaborato il diritto del lavoro, e poi lo Statuto dei lavoratori, è stata totalmente superata da un’altra cultura che pone l’impresa capitalistica come unico fattore di sviluppo, innovazione, modernizzazione. L’insieme delle normative a tutela dei lavoratori subordinati viene visto come un fattore di intralcio alla crescita dell’economia.
E come se il lavoratore subordinato (quasi sempre un proletario nullatenente) potesse essere messo sullo stesso piano di un ricco e potente imprenditore. Inutile ricordare che ciò comporta, almeno dal punto di vista di principio, l’eliminazione del contratto collettivo e la superfluità dei Sindacati.
A conclusione dell’incontro Ettore Palazzolo, già docente nell’Università di Catania ha tirato le fila del discorso e fatto alcune proposte.
A suo parere, il diritto del lavoro è oggi sottoposto, da una parte, ad un diritto formale, quello della Costituzione e dello Statuto dei lavoratori che di essa è una puntuale applicazione, dall’altra ad un diritto sostanziale, quello della globalizzazione e dei mercati.
Con la globalizzazione si tende a derogare formalmente al diritto della Costituzione, vedi le modifiche all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, o a bypassare i principi costituzionali relativi al lavoro, vedi la miriade di figure precarie di lavoro, per ultimo i Voucher, che hanno frammentato la classe lavoratrice, indebolendone la forza e rendendola ulteriormente ricattabile dai datori di lavoro.
E’ infatti evidente che quando manca la sicurezza del mantenimento del posto di lavoro – perché la giusta causa per i licenziamenti individuali è stata, di fatto, abolita – qualsiasi altro diritto del lavoratore all’interno dell’azienda, rischia di evaporare, dovendo sottostare alla spada di Damocle del licenziamento.
Più che un astratto riferimento ai principi costituzionali occorre introdurre dei paletti, dei limiti alla globalizzazione selvaggia. E’ difficile infatti che si possa tornare indietro nel senso di bloccare l’espansione dei mercati sul piano globale.
Uno dei freni potrebbero essere le “clausole sociali” da inserire negli accordi commerciali, contro il “dumping sociale” praticato da molti Paesi che non rispettano un livello minimo di diritti dei lavoratori.
Vengono fatti lavorare, ad esempio, bambini per più di 12 ore al giorno, con una retribuzione miserrima, in locali malsani, non ci sono contratti collettivi, turni di riposo, ferie, previdenza, né tanto meno libertà sindacale. Se i Sindacati si impegnassero in questa lotta, ciò gioverebbe sia ai nostri lavoratori, sia a quei lavoratori di Paesi stranieri che tutt’ora versano in condizione molto simile a quella schiavistica.
Altri strumenti potrebbero riguardare la delocalizzazione. Si potrebbe usare la leva fiscale per renderla più onerosa, soprattutto in relazione a quelle imprese, vedi la FIAT, oggi FCA, che hanno goduto di notevoli vantaggi da parte dello Stato dal cui territorio intendono disinvestire.
Si potrebbe elaborare una normativa internazionale (ed europea) che costringa le imprese multinazionali a sottostare al regime fiscale del Paese nel quale svolgano l’attività principale e traggono i maggiori utili.
Altri strumenti possono essere individuati, strumenti non prettamente lavoristici, che però, limitando il potere dei datori di lavoro, indirettamente vanno nel senso di tutelare i lavoratori.
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