Dopo 40 anni di assordante e indifferente silenzio, le istituzioni locali scoprono l’artista catanese Carmelo Mendola (1895-1976), autore della famosa fontana monumento dei Malavoglia di Piazza Giovanni Verga.
L’input è arrivato dalle giornate di primavera organizzate dal FAI che ha chiesto agli eredi della famiglia Mendola di far visionare ai propri soci la casa museo dello scultore, in via Bronte.
Il grande successo di partecipazione, la richiesta da parte del pubblico di poter meglio conoscere e approfondire la poliedrica personalità dell’artista, la necessità di recuperarne la memoria per trasmetterla alle nuove generazioni, hanno indotto le istituzioni, comunali e accademiche, e le associazioni culturali ad organizzare un convegno che si è tenuto all’Hotel Mercury il 6 aprile scorso: un risarcimento morale per l’artista che il mondo accademico catanese aveva ignorato e sottovalutato,
Già dal titolo, ‘Carmelo Mendola recupero di una memoria, recupero di un monumento’ emerge la volontà di accendere i riflettori anche sul degrado in cui oggi versano la fontana e tutta la piazza.
Sull’argomento si è soffermato il sindaco Enzo Bianco, che ha accolto con grande entusiasmo l’idea di avviare un progetto di riqualificazione, auspicando anche un coinvolgimento di sponsor, viste le limitate risorse del Comune.
Quanto al restauro della fontana dei Malavoglia, espressione della identità di Catania, la soprintendente Flavia Caffo ha sottolineato che esso deve essere fatto nel rispetto del progetto originario di Mendola, senza interferenze interpretative o creative.
Significativi gli interventi di alcuni studiosi e le testimonianze dei familiari che hanno riscattato il carattere complessivamente mondano e salottiero dell’evento, passerella per rappresentanti di istituzioni e altre autorità.
La figlia ultranovantenne di Carmelo, Ileana Mendola Zappalà, anch’essa curatrice di mostre personali, ha ricordato al folto pubblico la sera del 5 febbraio 1976, quando il padre -uscito da casa per andare a rimirare la bella fontana di piazza Verga- venne colpito da ictus. Due giorni dopo sarebbe morto. Se avesse potuto scegliere il luogo e il momento della sua fine avrebbe scelto, ha detto Ileana, proprio quello che rappresentava per lui “un esempio di bellezza creata e condivisa”.
L’intervento di Renata Zappalà, la più giovane delle nipoti di Mendola e curatrice della Galleria Mendola, è stato incentrato sul desiderio della famiglia di recuperare la memoria dell’artista come atto dovuto alla città e alle generazioni future. Un artista, ha ricordato Renata, che è riuscito a parlare fluidamente di arte in tutti i suoi linguaggi, pittura, scultura, musica, poesia, spinto soltanto dall’impeto di una violenta carica sentimentale ed emozionale, senza nessuna specifica preparazione.
La piazza Verga, ha proseguito la nipote, era il luogo più importante della sua vita, quello in cui -appena dodicenne- disegnava ed esponeva i manifesti per la mostra campionaria con grande disappunto del padre, facoltoso commerciante di legname.
Il legame con la sua terra e la sua famiglia è testimoniato dalla sua ‘casa museo’, definita dal critico Luciano Budigna “l’espressione del suo patriarcale concetto di famiglia e tempio dove disporre e custodire le proprie opere”, di cui era gelosissimo e in cui affluivano artisti, amici, operai per godere della bellezza delle sue creazioni.
Per questo suo legame con Catania e con la sua gente, intraprese nel 1952 quella che l’altra nipote, Giorgia Arena, definisce l’Odissea di un monumento, la fontana dei Malavoglia.
Durante la sindacatura di Domenico Magrì era maturata l’idea di indire un concorso per ricordare il romanziere catanese con un monumento e riqualificare una zona dove imperava una vergognosa anarchia urbanistica.
Mendola, acuto osservatore, si fece promotore di questa iniziativa e nel 1955 espose il suo progetto di riqualificazione dell’area alla Commissione edilizia del Comune.
Quando, nel 1956 venne bandito il concorso, la commissione giudicatrice -a carattere eminentemente locale (eccetto Carlo Argan)- individuò quattro nominativi tra i bozzetti presentati, senza scegliere alcuno.
Nel 1959 ci fu una seconda convocazione che si concluse con le dimissioni dei membri della commissione che dichiararono inadeguati tutti i bozzetti.
Poi il silenzio fino agli anni ’70 quando la raccolta di duemila firme di concittadini, la volontà della società storica catanese di costituire un comitato per la realizzazione dell’opera e l’interrogazione di Mario Zappalà, deputato regionale e assessore comunale alla Pubblica Istruzione della giunta Micale, permisero la riconvocazione della commissione e l’assegnazione del lavoro a Carmelo Mendola, che si trasferì a Napoli per seguire da vicino i lavori di fusione del bronzo presso la raffineria Chiurazzi.
L’intervento di Luigi Sapienza, storico dell’arte, ha spostato l’attenzione sul valore monumentale della fontana di Mendola. Ciò che la rende tale, dice lo storico, è lo stretto rapporto tra struttura e acqua: l’acqua è la protagonista dell’opera mentre la struttura interagisce con essa. La fontana è predisposta ad interagire con il pubblico, infatti la presenza della panchina ne permetteva la fruibilità e il godimento visivo e acustico. L’acqua veniva vaporizzata, spruzzata, schizzata, con cascatelle scroscianti, illuminata con cerchi lucenti e fari, grazie ad un intelligente sistema elettrico curato dallo stesso scultore.
Le suggestioni letterarie presenti in molte opere di Mendola, ad esempio il busto marmoreo di Paolo e Francesca o la stessa fontana dei Malavoglia, sono state ripercorse dall’italianista Dario Stazzone, che ha definito Mendola un ‘dilettante’ nel senso etimologico del termine. Un uomo, cioè, che ha praticato la sua attività non per professione ma “per amore della cosa in sé”.
Nel corso della serata, condotta da Giuseppina Radice, docente di Storia dell’Arte all’Accademia delle Belle Arti, l’attrice Anna Di Mauro ha letto brani inediti dell’autobiografia dell’artista; non è mancata la proiezione di alcune opere significative, illustrate da Samantha Lizzio, giovane laureata all’Accademia con una tesi su Mendola.
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