Una piccola parte del notevole patrimonio artistico lasciato da Salvatore Incorpora nelle sue molteplici espressioni, dalla pittura alla scultura, alla litografia e agli scritti, ha trovato una sua degna collocazione nella sala espositiva permanente allestita all’interno del museo “Francesco Messina” nell’ex casa del fascio in piazza Annunziata a Linguaglossa.
Questo grazie all’impegno profuso dall’Associazione culturale Salvatore Incorpora fondata dai tre figli dell’artista, i quali hanno fatto tesoro dell’insegnamento paterno del “custodire la memoria, raccogliere e custodire gelosamente”, come dice Gemma Incorpora .
Ma anche grazie alle istituzioni che, con un progetto cofinanziato dall’Unione europea, hanno concretizzato il desiderio della comunità locale, nella quale l’artista ha vissuto traendo ispirazione da quei luoghi, di poter avere uno spazio dove poter apprezzare e godere delle opere del suo concittadino onorario.
Infatti Salvatore Incorpora era nato a Gioiosa Jonica nel 1920, figlio di Giovanni e Gemma Murizzi, coroplasta, figlia d’arte di Rocco Bruno Murizzi scultore in legno che aveva frequentato la bottega di Francesco Biangiardi della tradizione napoletana dei presepi.
Dalla madre apprende i primi rudimenti artistici di cui farà tesoro, arricchito dalla sua formazione culturale presso il Liceo artistico di Napoli.
La splendida produzione di presepi e “scatole magiche”, come le chiama Vittorio Sgarbi, farà emergere “con vivacità una Sicilia ricreata in miniatura che diventa il luogo ideale dove ambientare una Natività o una Fuga in Egitto”. Proprio per questa produzione è stato definito il Maestro dei presepi, delle statuine, discendenti da quella scuola napoletana alla quale l’artista si era formato.
Deportato durante la seconda guerra mondiale raccontava gli orrori dei luoghi dello sterminio in un diario intitolato “Quell’andare“.
Dopo aver lasciato opere in terracotta in Polonia, Germania e in Grecia, approdò in Sicilia dove nel 1949 vinse il III Premio di scultura nelle feste autunnali. Da allora una copiosa attività come scultore e come pittore nell’hinterand etneo e non solo, fino alla sua morte nel 2010.
La sua produzione pittorica muove da un iniziale linguaggio figurativo che riflette stimoli provenienti da artisti a lui contemporanei come Renato Guttuso, Francesco Messina, Giuseppe Migneco, Aligi Sassu , per approdare a forme espressive personali e definite.
Nascono così i suoi soggetti descritti attraverso la tecnica dello straniamento: le grandi mani, i grandi piedi raccontano un vissuto dell’autore che è fuggito dai campi di concentramento, fidando solo sulle proprie risorse fisiche.
In seguito nella sua pittura ha affrontato anche temi di natura letteraria: è il caso del ciclo verghiano dove i personaggi verghiani travalicano i limiti spazio-temporali per diventare universali.
Molti i temi di natura sociale e politica , in riferimento agli avvenimenti della storia contemporanea, come La strage di Heysel 1985 o Morte Bianca 1971.
Negli ultimi anni della sua attività sceglie come soggetti gente comune come “Pensatori che trasportano le reti e tirano in secca una barca” (2004/2006) espressione della personale Arcadia siciliana dell’artista, di quella terra fertile di vita, resa ancora più nobile dal lavoro e dalla fatica del vivere umano.
Accanto a quello dell’artista c’era anche il lavoro di insegnante. Nei suoi lunghi anni di docente presso la scuola media dei Padri Domenicani di Linguaglossa, la scuola media Nino Martoglio e il liceo scientifico Boggio Lera di Catania, ha incontrato e formato centinaia di giovani, molti dei quali oggi ricordano il suo rigore, la sua autorevolezza, la sua competenza.
Di questa attività si segnalano alcune testimonianze. Così racconta una ex alunna : “Quando riferii a casa che avrei avuto come docente di disegno il maestro Incorpora, i miei genitori furono molto contenti perché era una persona di notevole spessore culturale”.
“Quando modella la materia tira fuori dal suo gracile corpo di anziano un insospettato vigore giovanile “ ricorda Maria Lombardo in un articolo del1 3 gennaio 2007 su La Sicilia.
Ma fu anche maestro di vita.
Affidandomi il compito di disegnare un ottagono -racconta un ex alunno- mi disse “Bada se usi la gomma sei fregato. Prima di tracciare una linea sul foglio bianco, misura e rifletti, rifletti e misura. Devi essere sicuro degli angoli che devi formare”.
“Non sono ammesse cancellature, sbavature , o linee ripetute, perché se tracci una linea è come se facessi una scelta di vita”, racconta Saro Pafumi. “Col tempo capii che quell’insegnamento conteneva una metafora. Le rette sono come certi principi. Non ammettono sbavature o travisamenti. Sono principi e basta.”
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Nel cammino della vita, tante volte si incontrano persone speciali, apprezzati dalla comunità presso cui vivono perché considerati maestri. Io ho conosciuto il professore Incorpora da ragazzina, nel 1973 quando con gli amici della parrocchia di S. Francesco di Paola a Linguaglossa si prepara la prima edizione del presepe vivente, il maestro in quella occasione esponeva i suoi lavori nella canonica. Timidamente chiacchieravamo con lui, che incoraggiava altri amici già più avanti nella espressione artistica, sulla sua arte e sul significato dei grandi piedi e della grandi mani .
Come altri reduci che hanno taciuto per riserbo, non ho mai saputo della sua esperienza dei campi nazisti, improvvisamente scopro di avere il suo libro “ Quell’andare”, citato nell’ articolo, ed avidamente ho cominciato a leggerlo. Improvvisamente mi rendo conto della ricchezza di esperienze di uomini come lui che ho avuto la fortuna di conoscere, mi rammarico di non essere riuscita a capirlo in tempo.