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PUMS, arriva in ritardo il Piano che non pianifica

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Con un ritardo di oltre dieci anni e una falsa partenza nel 2021, la Città Metropolitana di Catania si sta finalmente dotando di un Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile (PUMS). Scadeva ieri il termine per presentare delle Osservazioni sul progetto, redatto dalla società Sysma System Management, prima della definitiva approvazione.
Il ‘Coordinamento Iniziative e Monitoraggio sui fondi PNRR’ ha consegnato un lungo e articolato documento di analisi che pubblichiamo di seguito e che vi invitiamo a leggere, perchè ne vale davvero la pena.

OSSERVAZIONI AL PUMS DELLA CITTA’ METROPOLITANA DI CATANIA

Dopo una premessa così sintetizzabile

“Tra le tante perplessità che emergono dalla lettura del rapporto finale del PUMS, la principale nasce paradossalmente dalla mancanza di una visione complessiva e, conseguentemente, della stessa pianificazione. Infatti, lo scenario di piano individuato come ottimale dovrebbe venire fuori in alternativa ad altri possibili scenari e contenere l’elenco degli interventi prioritari, quelli più importanti per il raggiungimento degli obiettivi e quelli da realizzare nel breve termine in attesa che le opere più impegnative possano attuarsi. Nel rapporto finale del PUMS, invece, i vari scenari non sono affatto alternativi, ma sono costruiti in maniera incrementale: ogni scenario è ricavato dal precedente, a partire dallo scenario di riferimento, aggiungendo ogni volta nuove opere infrastrutturali o nuove politiche per la mobilità. Ne deriva una grave carenza di visione complessiva, anche per la mancata esplicitazione degli obiettivi del Piano (soltanto, in premessa, si dice che gli obiettivi sono dettagliati nel Primo Rapporto PUMS).”

Si entra nel merito

Un Piano che non pianifica

Il Piano si limita a prendere atto acriticamente dei programmi (sia quelli concreti che quelli “improbabili”) dei vari attori che operano in tema di mobilità. Sia nel capoluogo che negli altri comuni della conurbazione ci sono svariate proposte di interventi infrastrutturali (soprattutto infrastrutture stradali), che a volte rischiano persino di contraddirsi a vicenda, che vengono assommati uno all’altro solo perché contrabbandati per interventi già programmati, ma dietro i quali spesso non c’è né uno studio di fattibilità né una pur minima idea progettuale. Il Piano li accoglie tutti senza porsi il problema della loro utilità rispetto agli obiettivi da conseguire.

I parcheggi

Dal programma triennale delle opere pubbliche del Comune di Catania il PUMS recepisce, con la funzione di parcheggi di destinazione, alcuni parcheggi multipiano interrati previsti nel cuore della città densa (Via Asiago, piazza Cavour, piazza Verga, piazza Lanza, piazza Umberto). Ma questi non fanno parte concretamente della programmazione comunale: non sono previsti da alcuno strumento di pianificazione e nel programma triennale se ne prevede la realizzazione con fondi privati in maniera ripetitiva da circa venti anni. Se da venti anni a questa parte nessun investitore privato ha ritenuto opportuno realizzarli, si può presumere che anche in futuro non ci siano le condizioni di convenienza economica per farlo. Ma il loro inserimento nel PUMS significa che la loro realizzazione è ritenuta talmente utile da suggerire per tale scopo anche l’utilizzo di fondi pubblici. La loro realizzazione, però, si pone in aperto contrasto con l’obiettivo generale di decongestionamento del centro cittadino, in quanto costituiscono poli attrattori di traffico che tendenzialmente vanificano gli sforzi per limitare i flussi automobilistici nel centro-città (potenziamento del TPL, limitazioni del traffico privato motorizzato, tariffazione differenziata della sosta, ecc.). Il buon senso, oltre che una corretta pianificazione del sistema di mobilità, ne impongono la eliminazione fin dallo scenario di riferimento.

Anche per il parcheggio multipiano interrato di piazza Pietro Lupo e per il parcheggio Repubblica, per gli stessi motivi già detti, il PUMS dovrebbe prendere una decisione motivata, anche se sono già finanziati l’uno con fondi PNRR e l’altro con fondi privati. La decisione, se proprio non si vuole intervenire riducendo la inopportuna capacità dei parcheggi, può anche riguardare la funzione: per almeno una gran parte della superficie sarebbe opportuno stabilire come vincolante la destinazione a parcheggi pertinenziali ad uso esclusivo dei residenti della zona.

Di contro, il PUMS non fa alcun cenno a due parcheggi di interscambio localizzati in corrispondenza di due fermate della metropolitana FCE (San Nullo e Fontana) che sarebbe certo utile realizzare per intercettare una quota del traffico automobilistico privato diretto verso il centro dalle direzioni nord e ovest. La pianificazione comunale vigente (il piano dei parcheggi di interscambio) li prevede, con una capacità di 850 posti-auto per ciascuno, e non si comprende il motivo della loro soppressione.

La metropolitana FCE

Il Piano include tutti i programmi di FCE, sia quelli più concreti (già finanziati) che quelli privi della pur minima concretezza, senza effettuare alcuna valutazione critica o valutazioni comparative con altre modalità di trasporto rapido di massa. Ad esempio, non si fa alcun cenno alla possibilità di realizzare, in alternativa, delle linee tranviarie che, se valutate mediante i modelli di simulazione, risulterebbero sicuramente più adatte a servire lo scopo con impegni finanziari molto più modesti (una linea tranviaria costa almeno cinque volte meno di una metropolitana interrata) e con effetti benèfici in termini di riqualificazione urbana lungo i percorsi di superficie.

La linea oggi in corso di esecuzione, da Misterbianco all’aeroporto, sottoposta a simulazione dal Piano mediante modello matematico, risulta decisamente sottoutilizzata rispetto alla sua capacità potenziale (ipotizzando una frequenza di due minuti, l’impianto in esecuzione può trasportare 25.000 pax/h, molti di più delle poche migliaia che trasporterà). La fig. 219 a pag. 339 del rapporto dimostra, oltre a questa sottoutilizzazione, anche che nella tratta Misterbianco-Paternò, già finanziata ma ancora in progettazione, la linea di metropolitana rimarrà pressochè inutilizzata. Spenderemo 730 mln € (è il costo preventivato per la tratta Misterbianco-Paternò) per realizzare un’opera inutile. Il fatto che l’opera sia già finanziata non impedisce certamente al PUMS (se vuole essere un piano che pianifichi anziché limitarsi a recepire decisioni già prese) di individuare per quel percorso tecnologie meno impattanti e più economiche che consentano di soddisfare efficacemente la modesta domanda.

Sono anche previsti, nello scenario 3, interventi di potenziamento della rete metropolitana di Catania con le nuove linee Fontana-San Leone e Fontana-Ognina. La prima ha un tracciato che si svolge in zona periferica poco densa e serve solo a chiudere l’anello della metropolitana in corso di realizzazione, ma non se ne comprende l’utilità ai fini del decongestionamento del centro cittadino. La seconda ha un percorso in senso est-ovest che può risultare utile ma, se fosse sottoposto a verifica mediante simulazione modellizzata, risulterebbe certamente una tecnologia ingiustificata rispetto alla domanda da servire. Si tratta di una domanda che può essere di certo soddisfatta con una linea tranviaria (che può trasportare fino a 9.000 pax/h) o, forse, anche con un semplice BRT.

Il Piano, insomma, fa una scelta molto precisa: assecondare le smanie “espansive” di FCE che tende a realizzare linee di metropolitana interrate dappertutto, anche se non necessarie, al solo scopo di bandire gare d’appalto milionarie e favorire la circolazione di denaro (il PIL ne avrebbe beneficio, ma la città?).

Occorre anche rilevare che i costi preventivati dal Piano per le nuove linee di metropolitane FCE sono ampiamente sottostimati: è previsto un costo unitario di circa 45 mln/km, ma basta un confronto con la somma finanziata per la tratta Misterbianco-Paternò per capire che i costi sono molto più alti. Infatti in questa tratta la spesa sarà di 60 mln/km (730 mld per 12 Km), nonostante tale cifra non comprenda il costo dei treni e nonostante una parte del tracciato si svolga in superficie e sia quindi meno onerosa. E’ ragionevole quindi pensare che i costi per le nuove linee Fontana-San Leone e Fontana-Ognina possano arrivare quasi al doppio di quanto ipotizzato nel Piano.

I programmi RFI-Italferr

Anche qui il Piano recepisce acriticamente gli interventi del cosiddetto “nodo Catania” che prevedono l’interramento della linea ferroviaria da piazza Europa alla stazione Acquicella, con costi che supereranno di gran lunga il miliardo di euro. Un interramento che ha origine dall’esigenza di superare le difficoltà operative legate al raddoppio della galleria Zurria sotto il quartiere San Cristoforo. Una delle conseguenze di tale interramento è la soppressione del collegamento ferroviario con il porto di Catania e la conseguente impossibilità di fare arrivare le merci al porto tramite ferrovia. Per rimediare, il Piano prevede di instradare le merci su mezzi pesanti con la realizzazione di un’arteria di connessione tra porto e interporto, con caratteristiche autostradali, in adiacenza all’asse dei servizi: una soluzione impattante dal punto di vista ambientale, in controtendenza rispetto alla tendenza ormai universalmente ritenuta auspicabile, cioè di trasferire il trasporto merci dalla gomma alla rotaia. Qui succede il contrario. Eppure, se il Piano si decidesse a pianificare, ci sarebbero soluzioni alternative. Una potrebbe essere l’utilizzo di un collegamento ferroviario dedicato alle merci tra piazza Europa e il porto utilizzando uno o due binari del fascio esistente nella zona della stazione centrale. Un collegamento tra piazza Galatea e il porto, nello scenario 2, viene considerato semplicemente per passeggeri a servizio dell’attività crocieristica, presumibilmente su binario FCE. Ma niente impedisce che un collegamento del genere sia utilizzato in maniera più proficua anche (o solamente) per fare arrivare le carrozze merci fino al porto. Se questo dovesse comportare un’utilizzazione congiunta da parte di FCE e di RFI non sarebbe certo una bestemmia. Una seconda alternativa consiste nel pianificare in maniera coordinata l’utilizzo dei porti di Catania e di Augusta, evitando di raddoppiare in entrambi i porti le medesime funzioni. Se il trasporto merci trovasse esclusiva collocazione nel porto di Augusta, allontanando da Catania anche i traghetti ro-ro, il porto di Catania potrebbe trovare maggiore disponibilità di spazi per le altre attività (passeggeri, crocieristica, pesca, diporto) con conseguente miglioramento dei livelli di servizio e diminuzione dei livelli di inquinamento portuale. In tal caso non sarebbe necessario un collegamento stradale per trasferire le merci dall’interporto al porto o viceversa.

Inoltre, per quanto riguarda il servizio ferroviario metropolitano da espletare sulla tratta Acireale-Fontanarossa, con l’attivazione di ulteriori fermate urbane oltre quelle già esistenti, il Piano prevede correttamente di incrementare il servizio ferroviario con aumento delle frequenze, ma si limita a prevedere, nello scenario 3, corse ogni mezz’ora: è una frequenza che non riesce a essere competitiva con l’automobile. Per potere realisticamente ipotizzare che parte degli spostamenti con mezzi privati si trasferisca sul servizio ferroviario metropolitano la frequenza dei treni non deve superare i 15 minuti, o al massimo 20.

Va anche detto che nella tratta Acireale-Stazione Centrale un servizio ferroviario metropolitano può essere attivato già da subito perché sono presenti sia la linea a doppio binario che le fermate urbane; cosa che, fra l’altro, è già prevista nel contratto di servizio di Trenitalia per la regione Sicilia. Occorre solo incrementare le corse dedicate al servizio metropolitano in questa tratta. Ma il Piano non ne parla. Una dimenticanza a cui si deve certamente rimediare per ottenere in tempi brevi un trasferimento sul servizio ferroviario metropolitano di una quota di utenti che oggi utilizzano il mezzo privato provenendo dalla direzione est-nord est. Una delle tante indicazioni per il breve termine che il Piano dovrebbe evidenziare, anziché limitarsi ad affastellare uno sull’altro una miriade di interventi infrastrutturali non gerarchizzati.

Le tangenziali

Sia nello scenario 2 che nello scenario 3 il Piano ipotizza la possibile realizzazione di una nuova Tangenziale con un percorso più ampio ed esteso rispetto a quello della tangenziale esistente. Partendo dal casello autostradale di San Gregorio, il nuovo tracciato dovrebbe attraversare i territori di San Giovanni la Punta, Tremestieri, Mascalucia, S. Pietro Clarenza, Belpasso, Motta S. Anastasia, per poi riconnettersi all’autostrada Catania-Siracusa. Il costo ipotizzato è di 615 mln €. In entrambi gli scenari la realizzazione di questa nuova Tangenziale è prevista in alternativa alla realizzazione della terza corsia nella tangenziale esistente, per la quale si ipotizza un costo di 361 mln €. Il raffronto fra le due cifre lascia supporre che il costo della nuova tangenziale sia sottostimato. Ma va detto che si tratta di un’alternativa finta, perché in realtà il Piano non fa una scelta e le dà entrambe come possibili, aprendo così la strada alla realizzazione di questa nuova tangenziale pur senza manifestare una aperta preferenza.

Occorre anche ricordare che nel PIIM (Piano Integrato delle Infrastrutture e della Mobilità) della Regione Sicilia del 2017 si prevede, per il trasporto stradale, la realizzazione della terza corsia della tangenziale esistente, ma non si fa alcun cenno ad una nuova tangenziale.

I risultati delle simulazioni, sintetizzati nelle figure da 214 a 218, dimostrano (anche se in maniera un po’ confusa perché non vengono forniti dati quantitativi) come la nuova tangenziale in realtà sarebbe poco utilizzata per l’attraversamento dell’area metropolitana (che dovrebbe essere la sua funzione principale) e sarebbe invece utilizzata soprattutto per collegare i centri abitati pedemontani di S. Pietro Clarenza, Mascalucia, Tremestieri e S. Giovanni la Punta con il casello autostradale di San Gregorio. Ma per questo scopo possono bastare interventi di miglioramento e razionalizzazione della viabilità esistente.

Il risultato che sicuramente si otterrebbe con la realizzazione della nuova tangenziale è una proliferazione di insediamenti di vario genere lungo il suo percorso (come è già avvenuto per la tangenziale esistente e come sempre avviene per qualsiasi tangenziale o circonvallazione) con conseguente consumo di suolo, impermeabilizzazioni di terreni, degrado ambientale. Il tutto senza alcun effetto di decongestionamento: è ormai assodato negli studi trasportistici che la realizzazione di nuove strade non produce di per sé decongestionamento; anzi, più strade si realizzano e maggiore è il numero di automobili che le congestionano.

Un Piano niente affatto sostenibile

In sintesi, si tratta di un Piano che non fa gran che per disincentivare l’uso dell’automobile privata, arrivando persino a prevedere nuovi parcheggi multipiano nel centro di Catania. Più in generale punta decisamente a potenziare le infrastrutture stradali dedicate al trasporto su gomma, mentre per il trasporto su rotaia si affida acriticamente ai programmi velleitari di FCE e RFI senza alcuna valutazione costi-benefìci e senza valutare possibili alternative più adeguate alla effettiva richiesta di mobilità. Per la mobilità dolce, il Piano dedica pochissima (forse nessuna) attenzione ai percorsi brevi nelle periferie urbane sia nel capoluogo che nei comuni periferici, che sono invece prioritari per consentire di raggiungere i servizi essenziali in ogni quartiere senza ricorrere all’automobile.

C’è, in generale, una predilezione per le grandi opere decisamente anacronistica, che tende solo a predisporre le condizioni per poter utilizzare massicciamente i fondi nazionali ed europei che negli anni a venire si renderanno disponibili per opere infrastrutturali.

Va anche ricordato che le grandi opere, rispetto ad altre di minore impatto e minori costi, comportano un incremento dell’impronta ecologica non trascurabile. Scavare una galleria per una metropolitana anziché fare una linea tranviaria di superficie è una cosa da evitare, se non assolutamente necessaria, oltre che per i costi, anche per il notevole impatto ambientale (in termini di produzione di gas climalteranti) delle operazioni connesse alla realizzazione della metropolitana interrata (operazioni di scavo, produzione di rifiuto con i relativi trasporti alle discariche, processi di produzione dei calcestruzzi e dell’acciaio impiegati nel manufatto della galleria, ecc.).

Incurante delle problematiche ecologiche, il PUMS accosta e sovrappone opere fortemente impattanti trascurando (anzi, a volte, evitando accuratamente) le possibili integrazioni fra modalità di trasporto differenti. Un esempio emblematico: all’aeroporto di Fontanarossa FCE e RFI realizzeranno due stazioni diverse a poca distanza una dall’altra, anziché unificare le stazioni in un’unica struttura per agevolare e semplificare l’utilizzo da parte dei passeggeri.

Ormai da molti anni la tendenza sia nazionale che internazionale, è a despecializzare le linee ferrate, inventando tecnologie capaci di superare le specializzazioni e favorire le integrazioni forti. Per esemplificare: ad Amsterdam lo Sneltram (tram veloce) in certe parti della città cammina sui binari incassati nella pavimentazione stradale, mentre in altre parti entra in galleria e condivide lo stesso binario della metropolitana sotterranea. Ma qui c’è un Piano che ha deciso di non pianificare e quindi è inutile parlarne.

Indirizzo politico e idea di città

Il Piano è stato redatto in una fase di vacatio politico-amministrativa, durante una gestione commissariale della Città Metropolitana. Nessun organo politico, quindi ha dato un indirizzo alla progettazione e, in effetti, dalla lettura del Piano non traspare alcuna idea di città che guidi le scelte progettuali. Forse è per questo che i progettisti hanno preferito mettere dentro tutto senza selezionare e senza esprimere preferenze (anche se, a dire il vero, uno sforzo in tal senso avrebbero potuto anche farlo).

Giustamente, come previsto dalla norma, il PUMS prevede un monitoraggio con valutazioni periodiche, con cadenza biennale, per valutare i risultati raggiunti nel conseguimento degli obiettivi e individuare le criticità. Proprio perché il Piano nasce senza una paternità politica e senza un indirizzo generale, è di fondamentale importanza che le attività di monitoraggio si svolgano in maniera partecipata, coinvolgendo sia i soggetti istituzionali del territorio che i portatori di interessi e i cittadini, con l’emissione di specifici avvisi pubblici. Ciò è già previsto nella parte conclusiva del PUMS, ma è necessario che si dia luogo a un processo di partecipazione reale e non semplicemente formale.

Va detto anche che la legittimità del Piano adottato è inficiata dalla mancanza della VAS (Valutazione Ambientale Strategica), di cui esiste soltanto un rapporto preliminare. A norma di legge (DM 4/8/2017) la VAS deve “accompagnare tutto il percorso di formazione del Piano fino alla sua approvazione”. Prima di arrivare all’adozione del Piano si sarebbe dovuto procedere a una serie di attività in cui le elaborazioni di PUMS e VAS si intrecciano reciprocamente, con i relativi processi partecipativi in itinere, come indicato chiaramente nel rapporto preliminare VAS (pagine 12 e 13), fino alla definizione del Rapporto Ambientale, che deve accompagnare la versione finale del Piano. La normativa vigente in materia di VAS impone, quindi, che le procedure di approvazione del PUMS si fermino in attesa che tale lacuna, sostanziale oltre che formale, venga colmata.

E’ di fondamentale importanza, a maggior ragione per le carenze di visione strategica di questo Piano, che fin da adesso si dia avvìo a un processo di pianificazione continua a partire dalla VAS e dai monitoraggi biennali previsti, facendo sì che siano momenti di riflessione ed elaborazione non solo tecnica ma anche politica per costruire, gradualmente e collettivamente, quella idea di città metropolitana che fin qui è assente. Insomma, il PUMS non va considerato un punto di arrivo ma un punto di partenza.

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