In occasione del “maggio dei libri”, nella bella sala del piccolo refettorio della biblioteca Ursino Recupero è stato presentato il libro di Salvatore Borzì “L’alunno del tempo. La straordinaria vita del giudice Filocleone” per i tipi di Algra Editore.
Gli studiosi Dario Stazzone e Salvatore Daniele, introdotti dalla padrona di casa Angela Carbonaro, hanno esternato, unite a dotte considerazioni, le impressioni riportate dalla lettura del romanzo.
“Chi può esistere più felice e beato di un giudice? Quale persona ha più agiatezza e potere?”
La frase, che viene pronunciata dal giudice Filocleone ne Le vespe di Aristofane , viene qui riportata in quarta di copertina poiché questo libro continua a raccontare la storia del giudice che, attraversando le epoche, ha modo di riflettere finalmente sulla sua carica e su se stesso.
L’autore, che ne raccoglie i pensieri, è l’altro personaggio del libro.
Stazzone, soffermandosi su quest’opera che non ha mancato di emozionarlo, ripercorre gli antichi scrittori che con i loro passi letterari hanno ispirato le pagine di Borzì.
Per Daniele si tratta di un vero e proprio romanzo di formazione. Assistiamo infatti alla trasformazione del protagonista seguendone la graduale conversione da giudice corrotto e sanguinario, ossessionato dal proprio lavoro, ad un essere tormentato dai sensi di colpa.
Filocleone è atterrito dal vuoto che intravede nella sua vita della quale non percepisce più il senso.
La ricerca di un significato da dare all’esistenza: è questo il viaggio faticoso che Filocleone intraprenderà nel racconto e che, dal pentimento per la malagiustizia esercitata, e attraverso il dolore, lo porterà ad una forma di redenzione che gli restituirà l’orgoglio di essere uomo.
A queste considerazioni di Daniele si aggancia l’intervento appassionato che dal pubblico leva il giurista Vincenzo Vitale, secondo il quale, richiamando Platone, il problema non risiede nella possibilità che la Giustizia sia ingiusta ma semmai nell’impossibilità che questa sia giusta.
Vitale lamenta il ruolo sempre più modesto che hanno nello studio giuridico le materie formative come Storia e Filosofia del Diritto a beneficio di quelle “informative” dove il senso giuridico si perde a vantaggio della pura norma tecnica.
Il diritto, aggiunge Vitale, non è una norma, è una forma di relazione intersoggettiva, e il diritto reificato, trasformato in res empirica, finisce per reificare anche l’essere umano.
Questo suo intervento, che invita anche a un rapporto più stretto tra studi giuridici e letterari perché “nulla come la grande letteratura mette il giurista di fronte alla vita”, anche se un po’ troppo lungo, non tradisce tuttavia lo spirito del libro e le intenzioni del suo autore che infatti, nel suo intervento, si pone sulla stessa lunghezza d’onda, richiamandosi ad un umanesimo al quale l’uomo deve ritornare per ritrovare i valori di cui è portatore.
A cosa serve la cultura classica? si chiede Borzì, docente al liceo Gulli e Pennisi di Acireale, ripetendosi una domanda che mille volte si è sentito rivolgere dai suoi allievi.
E già il verbo “servire” rispecchia il nostro tempo, dove tutto è inutile se non riveste un’utilità pratica.
La cultura classica pone domande, risponde Borzì, le antiche domande che sono quelle eterne che l’uomo si pone da quando è al mondo. E la grandezza dei Greci non sta nelle risposte ma proprio in quelle domande, che ancora concorrono ad assillarci ed a spronarci a trovare risposte. Risposte che, come per gli antichi, “sono soggettive e nello stesso tempo universali”.
I Classici, dice l’autore, ed è come se lo spiegasse ancora una volta ai suoi alunni, ci dicono che una vita senza una ricerca continua e costante di senso non è degna di essere vissuta dall’uomo.
E che l’uomo è sempre felice quando impara a conoscersi in un dialogo che avviene ogni giorno e dura tutta la vita. I Classici, aggiunge, sono capaci di additarci i valori eterni che sempre sono in fondo a ognuno di noi anche se spesso dimenticati: la giustizia, l’onestà, l’empatia e, più di tutti, l’amore.
E i Classici, ancora, ci insegnano a non farci trascinare dalle menzogne del nostro tempo, dalle bugie e manipolazioni del sistema, ma ci esortano a ragionare con la nostra testa.
Come scrive Aristofane, nessuno potrà allora mai farci “sentire ciò che è turpe bello, e ciò che è bello turpe”.
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