Un lavoro di approfondimento e di scavo per fornire un contributo alla ricerca della verità ma anche, e forse soprattutto, per reagire al calo di attenzione verso una delle pagine più controverse della storia repubblicana.
Sono questi gli obiettivi perseguiti da quel gruppo di professionisti e studiosi che hanno contribuito a realizzare prima un convegno e poi un volume.
Dagli Atti del Convegno tenuto a Catania nell’Auditorium dei Benedettini il 12 gennaio 2016, è nato, infatti, il libro che porta lo stesso titolo “Le verità nascoste: da Aldo Moro a Piersanti Mattarella a Pio La Torre (Edizione La Zisa)”.
Organizzato su iniziativa dell’Università di Catania in collaborazione con le associazioni Libera, Memoria e Futuro, Fuori dal coro, il convegno metteva al centro le tematiche di un progetto laboratoriale più ampio e trasversale, “Ambiente, territorio, mafia”, che l’Università ha introdotto nei curricula dei corsi accademici.
Si voleva così fornire ai giovani “quei saperi per una cittadinanza attiva, quelle conoscenze per una crescita consapevole” di cui parla Antonio Pioletti nella Prefazione del volume.
Ma perché parlare di verità nascoste a proposito degli omicidi di Moro, Mattarella, LaTorre?
A questi interrogativi rispondono gli interventi di Nicola Tranfaglia (storico dell’Università Torino), Stefania Limiti, Andrea Purgatori, Giuseppe Lo Bianco (giornalisti del Fatto Quotidiano e del Corriere della Sera), Adriana Laudani (avvocato, già deputata regionale del PCI), Ernesto De Cristofaro (docente di diritto all’Università di Catania), Armando Sorrentino (avvocato, parte civile al processo Pio LaTorre).
Interventi che cercano di mettere insieme tutti i tasselli di quel “mosaico incompiuto di storie”, come lo chiama De Cristofaro, che ha caratterizzato gli anni delle stragi e dei delitti eccellenti dell’Italia dal 1963 al 1993.
Il filo conduttore che attraversa tutto il libro è la necessità di analizzare il contesto in cui si collocano questi omicidi e di leggerli in chiave unitaria.
Non più fatti a se stanti, autonomi e indipendenti ma un “corpus unitario”, come scrive Armando Sorrentino. Moro, Mattarella, La Torre, pur partendo da esperienze personali e formazione culturale diverse, avevano un obiettivo comune: il raggiungimento del processo democratico del paese Italia.
Un paese segnato dalla presenza di forti istituzioni tradizionali (Chiesa, magistratura, esercito, industriali), dal caos dei servizi segreti italiani, dall’ingerenza degli agenti di influenza atlantica, dalle logge massoniche, dalla mafia.
In che modo questi protagonisti tentarono un processo di riforma della politica in Italia? Moro aprendo alle forze di sinistra che rappresentavano la maggioranza delle classi lavoratrici, Mattarella avviando in Sicilia un’azione amministrativa di assoluto rigore etico contro una burocrazia collusa e paludata, La Torre con le lotte sindacali per la terra accanto ai braccianti alla fine degli anni quaranta, con la lotta intransigente contro la mafia, con la mobilitazione pacifista contro l’installazione dei missili a Comiso, fino all’introduzione del reato di Associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis del Codice Penale).
Questi delitti, dunque, hanno avuto tutti una natura politica – come ribadisce Adriana Laudani – che è stata trascurata, omessa, ricorrendo ad un vero e proprio “depistaggio culturale e della memoria”.
Su depistaggi, servizi segreti deviati, poteri occulti, si soffermano tutti i contributi presenti nel libro, sottolineando intrecci, evidenziando gli “ibridi connubi”, come li chiamava Giovanni Falcone, tra famiglie mafiose e formazioni eversive mediate dalla massoneria criminale e dai servizi segreti.
Una realtà complessa che lascia al lettore una sensazione di smarrimento e confusione, oltre che di palese impotenza.
Soprattutto quando si scopre che, a distanza di tanti anni, di questi delitti eccellenti si conoscono gli esecutori materiali ma non i mandanti.
O addirittura, come nel caso del delitto Mattarella, nemmeno gli esecutori materiali, nonostante la vedova Irma Chiazzese avesse riconosciuto in Giusva Fioravanti, componente storico dei Nar, organizzazione di estrema destra, il killer del marito.
Le conclusioni ad Antonino DiMatteo che, pur riconoscendo che “alcune nebbie intorno ai delitti eccellenti sono state diradate” sottolinea come tuttavia permangano ancora molti interrogativi che devono trovare risposte.
“Rilevo invece, commenta DiMatteo, il desiderio diffuso a molti livelli e in ambienti diversi di archiviare il capitolo delle stragi e dei delitti eccellenti come se si trattasse del retaggio di un passato ormai chiuso e da dimenticare. Spero che le procure competenti, insieme con la Procura nazionale Antimafia, sappiano trovare lo slancio e l’entusiasmo per continuare l’impegno di completare il percorso di verità”.
E questo è ciò che anche noi, come comuni cittadini, desiderosi di verità e di sentenze processuali e non solo storiche, ci aspettiamo.
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diffido da questa letteratura. Mi pare molto simile a quella di Saviano che rastrella soldi a non finire sulle sorti dei processi e dei criminali. Non mi piace leggere verbali e veline per poi giudicare alla carlona.