Un migliaio di persone ad ascoltare il comizio conclusivo di Renzi alla Festa dell’Unità, altrettante a contestarlo nelle strade.
Più che un ragionamento sulle difficoltà e i problemi del Paese, quello di Renzi è stato un susseguirsi di battute, talora anche divertenti: altri scrivono i libri e D’Alema li firma, i 5 stelle hanno esaurito i giga.
Mentre, però, il presidente del consiglio parlava liberamente, i manifestanti erano “contenuti” con metodi “spicci” dalle forze dell’ordine.
Non una sorpresa, quest’ultima, ma la logica conclusione di una Festa segnata dal ridotto numero di partecipanti e da un controllo ossessivo e costante, che – obiettivamente – si sarebbe potuto evitare e che non ha migliorato il rapporto già difficile tra cittadini e ‘mondo della politica’.
Basta guardare le immagini della carica della polizia per rendersi conto che quei manifestanti non potevano rappresentare alcun pericolo e che i pochi che lo scontro lo cercavano potevano essere gestiti diversamente.
Restano, tuttavia, gli interrogativi sulla scelta di organizzare un corteo in un breve budello di strada, nella consapevolezza che si sarebbe concluso, comunque, lontano dal luogo del comizio. Non sarebbe stato meglio scegliere di manifestare, per sottolineare la distanza dalle idee del PD e del governo, in un’altra parte della Città e fare vedere ai catanesi quanti non approvano tali scelte politiche?
E ancora, avrebbe avuto senso cercare altre soluzioni, ad esempio tentare di entrare alla villa alla spicciolata e, una volta lì, mostrare i cartelli del dissenso davanti a Renzi? Difficile rispondere.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo alla quotidianità dei giorni di una festa che non è stata tale.
Nell’unico ingresso della Villa Bellini lasciato aperto, la frase più ricorrente che capitava di ascoltare è stata: “Se sei venuto per contestare, ti faccio entrare solo a dibattito concluso”.
Così un ferreo controllo delle forze di polizia ha trasformato un evento pubblico, proposto in uno spazio pubblico, in una più che blindata kermesse privata.
Tutto ciò, talvolta, ha dato luogo a episodi di, involontario, ma evidente umorismo, come quando un’anziana signora, che voleva attraversare la Villa dopo aver fatto la spesa, si è vista negare l’ingresso a causa dei pomidoro appena acquistati.
In sostanza, l’intera Villa chiusa al pubblico, nonostante la festa fosse concentrata in una porzione molto limitata: il piazzale centrale e una delle due collinette.
Pochi stand, molte contraddizioni. Uno spazio pubblicizzava la discussa Università Romena di Medicina di Enna, un altro i servizi di una società distintasi per aver denunciato i lavoratori che protestavano contro i licenziamenti.
In una “vecchia” Festa nazionale, piena di persone e stand, nessuno avrebbe fatto caso a tali presenze. La costante mancanza di pubblico, impietosamente e quotidianamente documentata dai vari media, ha, invece, sottolineato queste contraddizioni.
E dire che gli organizzatori erano stati previdenti. Immaginando una scarsa partecipazione ai dibattiti, per esempio, avevano previsto uno spazio limitato. Ciononostante, più volte sono stati costretti a “mobilitare” volontari e funzionari presenti perché i vuoti fra le sedie non fossero “drammatici”.
Del resto, chi avrebbe potuto avere interesse a seguire un qualsiasi dibattito all’interno del quale, essendo tutti i relatori d’accordo fra loro, non c’era nulla su cui confrontarsi, e le possibili domande del pubblico erano preordinate?
Ancora. Questa festa era stata presentata come un’occasione per ridare centralità ai problemi del mezzogiorno. Non solo tutto ciò non è avvenuto, proprio mentre i dati della crisi economica, nella quale siamo ancora immersi sino al collo, ci parlano di ulteriori passi indietro del meridione e di un quadro generale che registra il fallimento, per esempio rispetto al Jobs Act e alle politiche sull’occupazione.
Quanto alla scelta di fare la Festa a Catania, per premiare la buona amministrazione della Città, l’assenza dei catanesi dimostra quanta separazione vi sia fra amministratori e cittadini, stanchi di una politica incapace di intervenire sui temi strutturali del degrado.
Di una politica pronta a fare conferenze stampa quando vengono collocati in strada 500 posacenere, ma silente, per fare un solo esempio, sulla distruzione del trasporto pubblico ogni giorno più carente.
Di una politica nella quale si passa con assoluta disinvoltura da uno schieramento a quello opposto (si fa per dire) pur di non allontanarsi dalla stanza dei bottoni e che, quindi, si riduce a esclusiva pratica/gestione del potere.
In quest’ottica diventa contraddittorio chiamare alla partecipazione, organizzare i “militanti”, dare vita a circoli capaci di intervenire nel sociale, tutte forme di organizzazione che ormai non esistono più, mentre si moltiplicano le aggregazioni intorno ai personaggi del momento. E dall’emarginazione della società civile difficilmente potranno nascere frutti positivi.
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Lettera aperta al Comandante Renzi a capo dei colonnelli che istruiscono il Paese .
Eccellenza, perdoni l’ardire della colonia catanese che si permette di criticare le profonde riflessioni e le promesse per bocca della S.V. , sullo splendido avvenire locale e nazionale che ci aspetta. Ci permettiamo però di consigliare alla S.V. illustrissima, nel caso di ulteriori irrispettose critiche come quella ingiustamente riportate oggi da Argo, non l’impiego di semplici poliziotti come avvenuto a chiusura del benevolo SI referendario concesso ai cittadini, ma di veri manipoli come quelli che tutto il mondo insieme a noi ricorda come vero esempio di alta democrazia.