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Rugby a Librino, la parola al capitano dei Briganti

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Un’esperienza eccezionale ed esemplare. Così viene raccontata la vicenda dei Briganti, squadra di rugby nata a Librino, nella lettura un po’ edulcorata che ne fa Nicola De Cilia nel libro “La pedagogia della palla ovale” di cui Argo ha già parlato. Abbiamo voluto capire meglio come stanno in concreto le cose e abbiamo fatto alcune domande ad Aurelio Gambadoro, capitano della squadra.

  • Hai l’impressione che l’aspetto formativo dell’attività dei ragazzi del quartiere di Librino sia venuto meno in nome della ricerca di visibilità e di immagine ?

Si è vero che c’è stata molta pubblicità, ma io penso che sia dovuta al fatto che il “progetto Briganti” sia una bella idea. L’idea di unire uno sport di inclusione come il rugby, al progetto di recupero di un quartiere come Librino. Ora se questo rimarrà il principio dei Briganti e se cercheremo di migliorarci nel servizio che diamo a un quartiere “difficile” come Librino, allora la pubblicità non è da essere temuta, anzi può fare solo bene al progetto. Se non avessimo avuto questa pubblicità, anche grazie al gruppo di lavoro G124 di Renzo Piano, avremmo difficilmente avuto un po’ di considerazione dalle istituzioni locali.

  • E ‘ vero che al campo si allenano circa 250 ragazzi? Avete qualche squadra femminile ? In che condizioni sono le strutture sportive ?

I ragazzi che partecipano, provenienti da tutte le scuole, sono circa 150, abbiamo molte scuole a Librino e nei quartieri limitrofi. Esiste anche una squadra femminile “Le Brigantesse di Librino” che stanno aumentando sempre di più e il cui intento è di partecipare a un campionato di rugby a 15. Finora hanno giocato solo alcune amichevoli di rugby a 7. La speranza è quella di costituire le giovanili di rugby femminile (che già fino alle under 12 giocano in squadre miste), ma questo è solo uno dei tanti obiettivi da raggiungere.
Obiettivo primario è il miglioramento della struttura sportiva, la sua messa in sicurezza, la realizzazione dell’impianto di drenaggio e chissà, sogno dei sogni, anche quella del manto erboso, presupposto importante per uno sport dove si finisce spesso a terra.

  • I bambini che frequentano la clubhouse pagano qualcosa ?

I bambini che frequentano la clubhouse non pagano nulla. A pagare sono i ragazzi della squadra senior che versano una quota sociale di 250 Euro all’anno. Dalla quota e dagli sponsor entrano tutti i soldi che servono per le attività dei Briganti.

  • Perché nel quartiere non c’è la dovuta segnaletica per indicare il campo san Teodoro ?

Nel quartiere non esiste alcuna segnaletica perché fino a poco tempo il campo era ‘occupato’ e non era nemmeno considerato dall’amministrazione comunale che addirittura ne negava l’esistenza. Da maggio 2015 abbiamo avuto l’affidamento solo del campo di gioco, con un contratto di comodato d’uso gratuito. In quanto struttura pubblica spetterebbe al comune inserire la segnaletica. Noi in passato abbiamo provveduto ad inserire una segnaletica in prossimità del campo, e forse, se il comune non interverrà, dovremo attivarci per inserirne qualcuna in più.

  • Angela, una volontaria intervistata dall’autore del libro dice “lo scopo è questo, avvicinare il quartiere, perché c’è una forte diffidenza nelle persone, che hanno anche un po’ di paura”. Paura di chi, di che cosa ?

Io penso che Angela parli di una certa diffidenza e paura dei genitori, perché questi ad oggi sconoscono che ci sia a Librino una realtà come i Briganti. Se si può rimproverare qualcosa ai volontari è quella di non essere efficaci nella comunicazione con il quartiere. La maggior parte degli abitanti di Librino non conosce l’esistenza di una squadra di rugby all’interno del quartiere, ma c’è da dire e da ripetere che i volontari hanno fatto sempre tutto da soli senza un supporto dell’amministrazione. Non è un lavoro facile perché servono delle risorse che non possono essere sostenute solo dalle singole persone.

  • Quando a febbraio 2015 avete subito il furto alla strutture e siete andati a fare la denuncia al limitrofo comando di polizia, pare che l’agente, nonostante la presenza di una finestra sul campo e sugli orti urbani, sconosceva totalmente questa realtà. Non ti sembra un dato inquietante, soprattutto trattandosi di forze dell’ordine?

Si è inquietante e questa considerazione si ricollega a quanto detto in precedenza.

  • Cosa ne pensi del rugby “professionistico”? quali conseguenze ha portato ?

Il rugby si è anche affermato come sport alternativo ad altre discipline corrotte dalla forte circolazione di denaro, ma adesso anche qui iniziano un po’ a circolare  soldi. Che girino più soldi ci può anche stare, ma bisogna saperli gestire bene e non perdere di vista quelli che sono i principi che stanno alla base di uno sport come il rugby, che sono importanti anche fuori dal campo, in particolare il rispetto dell’avversario e soprattutto il sostegno del compagno di squadra. Nel rugby le individualità contano poco se non si ha alle spalle la certezza del sostegno del compagno di squadra. E’ uno sport in cui, se non c’è sostegno, non si arriva alla meta.
L’esempio del tracollo morale di sport come il calcio ha decretato il successo del rugby, e questo basterebbe come insegnamento per non compiere gli stessi errori. Speriamo bene.

  • Sei al corrente che l’amministratore delegato di Sisal Entertainment, Francesco Durante, ha dichiarato – in occasione dell’apertura dell’ottava sala del Network a Catania, in Piazza Trento – di aver lanciato una iniziativa sociale a sostegno della Onlus Rugby Briganti?

Per quanto riguarda la questione Sisal, da quello che ho capito, l’agenzia di Piazza Trento ha organizzato di sua iniziativa una raccolta fondi per i Briganti nel marzo 2014.d
C’è da chiedersi se si tratti di una operazione finalizzata a valorizzare l’azione positiva dei Briganti oppure un mezzo “per integrarsi con la città in maniera armonica e costruttiva cogliendone gli elementi più caratterizzanti”, come dice l’ad di Sisal.
Questa voglia, espressa da Durante, di ‘integrarsi con il tessuto urbano della città’, non impedisce di cogliere la stridente contraddizione tra il valore educativo che il rugby si impegna a perseguire e l’attività, legittima ma eticamente poco condivisibile, del gioco delle slot machine.

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