La crisi è economica, politica, umana. Ed una musica la racconta; è una musica antica, nata per raccontare altre crisi, lontani dolori, sofferenze nascoste, l’esilio da Smirne per sfuggire ai turchi nel ’22, ma anche l’emarginazione, la rabbia e la protesta. E’ attuale il rebetiko, dal turco rebet uguale ribellione, il blues ellenico, ripreso oggi, in Grecia.
Ce lo presenta in un viaggio attraverso osterie e taverne, piazze, angiporti, vicoli deserti e decadenti, il film-documentario “Indebito”, di Andrea Segre e Vinicio Capossela, regista degli ultimi il primo, cantore e “pittore” delicato dell’affresco dei sentimenti il secondo. Dopo il successo riscosso al festival di Locarno e in alcune città italiane, il film è approdato nei giorni scorsi a Catania, al cinema King, gremito di giovani e non solo.
Indebito come in/debito, perché la Grecia è un paese in debito con L’Europa ma anche indebito, una parola sola, perché i testi cantati e la musica suonata dai rebetes -così si chiamano i musicisti del Rebetiko- è anticonvenzionale, inopportuna, sconveniente, illecita e abusiva, non autorizzata, ribelle insomma. Sullo sfondo il Partenone e le altre rovine a ricordare un’epoca in cui la Grecia non solo non era in debito con il mondo ma ne era egemone.
Spiega Vinicio Capossela: “Se l’uomo capisse che si vive soltanto una volta e mai più, se la gente si rendesse conto di questo, probabilmente non sarebbe disposta a passare la vita come la passa. Allora questa musica è rivoltosa perché accende in noi la consapevolezza che ogni attimo è eterno perché è l’ultimo ed è quello che ci invidiano gli dei”.
“La crisi di oggi prima che economica è identitaria – dice Andrea Segre -
È separazione, disorientamento. Le culture europee sono state svendute all’omologazione del consumo e alla corsa alla ricchezza….”
Così, dice il regista, si vive “in debito d’aria, di senso, di prospettiva”.
I rebetes vanno per locande e porti, a Salonicco o ad Atene, e incrociano Vinicio Capossela musicista e viandante, viaggiatore attento e non turista, che annota, puntuale, pensieri ed emozioni sul suo block notes.
«Povertà, anche se possiedi delle vittime, nascondi anime con emozioni» dice Vasilis Tsitsanis ne “Gli stracci della povertà”.
I rebetico cantano anche l’amore, anzi la sofferenza d’amore. «I tuoi occhi gelosi mi hanno fatto impazzire/Non ho dato importanza ai lussi, e sono diventato il loro schiavo/Appassisco, mi sciolgo come una candela/Mi stai tormentando/
Perché non mi ami?/Ti guardo, ti adoro/ Non volermi male perché impazzirò».
Preso di mira naturalmente il potere forte, cieco e cattivo: «Quelli che dventeranno primi ministri, moriranno tutti/Il popolo gli corre dietro, per tutte le “belle” cose che fanno./ Mi candido per diventare primo ministro/ per stare seduto, pigramente,/ per mangiare e per bere».
Anche le immagini girate come sono con tre camere a mano che le rendono poco ferme, sono instabili, sembrano subire le emozioni ed essere investite anch’esse dalla crisi. Una crisi che non è solo greca. Inutile prendere le distanze da una realtà che è anche la nostra.
“Siamo tutti greci” , dice Capossela richiamando alla mente la frase kennediana. “Così la Grecia diventa l’Europa, – ribadisce Segre- la sua crisi è la nostra e il rebetiko il canto vivo di un’indebita e disperata speranza”.
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