Non è facile trovare un’altra città che, possedendo una chiesa monumentale come quella di san Nicola in piazza Dante, ne faccia il non uso che è sotto gli occhi di tutti. Una striminzita apertura solo nelle ore antemeridiane, nessuna assistenza agli eventuali visitatori, chiusura la domenica. Un contesto che denuncia ad ogni passo uno stato di abbandono e di mancanza delle più elementari manutenzioni. Umidità dal basso e dal tetto, vetri rotti e famigliole di piccioni che vi scorazzano liberamente, ponteggi interni ed esterni per verificare l’equilibrio statico della cupola messi in opera da anni e mai più rimossi, zone transennate per pericolo di crolli o per interminabili lavori di restauro, illuminazione inesistente, fili volanti dappertutto.
Eppure basterebbe fare un piccolo elenco di particolari di pregio, oltre alla chiesa in sé per la sua grandiosità – 105 metri la lunghezza della navata principale -, per capire come dalle nostre parti si spreca la grazia di Dio (è proprio il caso di dirlo!): due opere lignee di assoluto valore, il coro dietro l’altare maggiore e la sacrestia monumentale; il famoso organo settecentesco di Donato del Piano con le sue oltre 2000 canne, recentemente restaurato e per nulla valorizzato; la grande meridiana astronomica; i corridoi di gronda e la cupola che, con i suoi 62 metri di altezza offrono un punto di vista unico e spettacolare su tutta la città; le pregiate tele delle cappelle laterali con i loro preziosi marmi policromi.
E’ su queste ultime che vogliamo soffermarci, per documentare con un servizio fotografico come un lentissimo e certamente costoso lavoro di restauro, non solo non abbia risolto i problemi reali, come la risalita dell’umidità dal terreno, ma probabilmente ne stia creando altri.
Come si può vedere dalle foto, infatti, l’ultimo altare della navata di destra, la cappella di san Placido, ( il primo ad essere stato restaurato circa 10 anni addietro) presenta già danni forse maggiori di quelli che mostrava prima, soprattutto ai preziosi marmi di cui è adornato, con la differenza che prima le lastre si staccavano per intero o comunque a scaglie abbastanza grandi, mentre adesso, forse a causa della tecnica di restauro o dei materiali di supporto impiegati, le lastre vengono espulse in mille minuscoli frammenti, difficili da recuperare.
Un bene artistico e architettonico fra i più rilevanti della città, in un momento in cui tutti si affannano a gettare acqua sul fuoco innescato dalle inchieste giornalistiche, non meriterebbe una maggiore attenzione e una più funzionale cura quanto meno dell’esistente ? Guarda la galleria foto
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bellissimo servizio !
bisognerebbe mandarlo al FAI,quantomeno…