Accanto ad un’Italia da prima pagina, alle prese con i dazi di Trump e con l’andamento incerto dell’export e del Pil, ce n’è un’altra, silenziosa e invisibile. È l’Italia dei Neet: giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non seguono alcun percorso formativo. Rappresentano una delle principali emergenze sociali ed educative del Paese.
L’Italia è il secondo Paese in Europa per numero di Neet, preceduta solo dalla Romania. Seguono Lituania, Grecia e Cipro.
Nonostante alcuni timidi segnali di miglioramento, i dati restano allarmanti, soprattutto nel Mezzogiorno. Secondo le ultime statistiche Eurostat, nel 2024 il tasso di Neet in Italia si è attestato al 15,2%. Un calo rispetto agli anni precedenti, ma ancora ben sopra la media europea (11%) e lontano dall’obiettivo del 9% fissato dall’Unione Europea per il 2030.

Tuttavia, questi dati non rendono pienamente conto dei divari territoriali tra Nord e Sud. A offrire una misura più aderente alla realtà del Mezzogiorno è un indicatore sperimentale elaborato da Istat, incrociando dati sulle condizioni socio-economiche familiari con fonti amministrative. Si tratta di statistiche disponibili solo per comuni con almeno 5.000 abitanti e aggiornate al 2020, anno fortemente condizionato dagli effetti della pandemia.
Pur con la dovuta cautela interpretativa, le analisi confermano una tendenza già emersa: il fenomeno è particolarmente rilevante in alcune grandi città del Mezzogiorno. Con Catania, Palermo e Napoli che guidano la classifica
Secondo Istat, Catania è il capoluogo con la maggiore incidenza di giovani Neet, seguita da Palermo (39,8%), Napoli (37,3%) e Messina (33,7%). Completano la classifica Caltanissetta (32,1%), Agrigento (31,7%), Trapani (31,6%), Siracusa (31,5%), Frosinone (30,5%) ed Enna (30,4%).
Otto dei primi dieci capoluoghi sono siciliani (fa eccezione Ragusa).
La conferma di una dinamica di fondo.
I dati vanno letti con estrema cautela, ma al di là della loro esatta quantificazione, l’analisi Istat conferma una dinamica di fondo: il fenomeno è marcato nel Mezzogiorno, dove le difficoltà economiche, le carenze del sistema educativo, la fragilità del welfare e la debolezza del mercato del lavoro ostacolano l’inclusione dei giovani.
Una questione strutturale, non individuale
Dietro i numeri si cela un problema strutturale, che coinvolge scuola, mercato del lavoro e disuguaglianze territoriali. Non si tratta solo di giovani “sfiduciati” o “disorientati”: spesso vivono in contesti che non offrono le condizioni minime per costruire un progetto di vita attivo e dignitoso.
Uno dei fattori chiave è il livello di istruzione. In Italia anche chi ha un diploma è fortemente esposto al rischio: il 17,8% dei diplomati rientra tra i Neet, una percentuale superiore a chi ha solo la licenza media (13,3%). Il dato scende all’11,8% tra i laureati, ma resta comunque sopra la media UE. Questo paradosso mette in luce una profonda disconnessione tra scuola e mondo del lavoro. Il sistema educativo spesso non riesce a fornire competenze spendibili né a orientare efficacemente gli studenti, con effetti a catena su abbandoni scolastici, scelte sbagliate e esclusione sociale.
Una condizione che colpisce soprattutto le ragazze
La quota maggiore di giovani Neet è rappresentata da ragazze. Su di loro pesano salari inferiori rispetto ai coetanei maschi, ma anche le difficoltà nel conciliare vita familiare e lavoro.
Bianchi: “Il più grande spreco di risorse umane del nostro Paese”
Secondo Luca Bianchi, direttore della Svimez (Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno), i Neet non vanno demonizzati.
«Non è una questione di bamboccioni o appassionati del divano: sono il risultato, da un lato, della debolezza del capitale produttivo; dall’altro, di politiche pubbliche che non hanno mai avuto i giovani come vero target di investimento. Il fenomeno dei Neet non è soltanto un’emergenza sociale ed educativa: è il più grande spreco di capitale umano del nostro Paese».
La strada del cambiamento: investire nell’istruzione
Contrastare il fenomeno dei Neet non significa solo migliorare un indicatore statistico, ma puntare sul futuro dell’Italia. Servono politiche coraggiose e mirate: rafforzare l’orientamento scolastico, potenziare l’istruzione terziaria, costruire ponti concreti tra scuola e lavoro e, soprattutto, ridurre i divari territoriali.
Solo attraverso investimenti strutturali e una visione di lungo periodo sarà possibile valorizzare il talento delle nuove generazioni e restituire ai giovani un ruolo attivo nella società. Una sfida che richiede un nuovo modello di sviluppo.
Fonte: Openpolis – Come i divari educativi alimentano il fenomeno dei Neet e Catania è il capoluogo con più giovani Neet