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Autonomia differenziata, istruzioni per dividere l’Italia e renderci tutti più poveri

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Ginevra, una bimba calabrese di soli due anni, dopo aver contratto una forma grave di Covid, non può essere ricoverata in rianimazione perché la Calabria non ha neanche un posto di terapia intensiva infantile. Deve essere trasportata fuori regione, ma non ce la fa. E muore. In Veneto il problema non si sarebbe posto, perché i posti di terapia intensiva pediatrica sono tre.

Non è una notizia che ci sorprende. Sappiamo bene che le differenze tra le regioni, in molti campi e soprattutto nella sanità, sono marcate. Quello che non sappiamo, anche perché evitano di dircelo, è quanto aumenterebbero le differenze, se venisse approvato il progetto di Autonomia Differenziata.

Un progetto scellerato quello dell’Autonomia differenziata, una riforma catastrofica che avrebbe enormi ripercussioni sulla vita di ognuno di noi perché distruggerebbe lo stato sociale e condannerebbe il Sud a divenire sempre più povero.

Se ne è parlato ieri pomeriggio alla scalinata Alessi, in una assemblea organizzata da molte associazioni aderenti al Tavolo NO AD contro qualsiasi forma di autonomia differenziata.

Appassionati gli interventi introduttivi di Pina Palella, presidente provinciale dell’Anpi e Marina Boscaino, portavoce nazionale dei Comitati No AD.

Non è un problema nuovo, ha origine nella riforma del titolo V della Costituzione, approvata nel 2001 da un governo di centrosinistra, che ampliava le competenze legislative delle regioni. E’ stato poi il governo Gentiloni, nel 2018, a siglare le tre pre-intese (accordi preliminari) con le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, intenzionate ad ottenere la potestà legislativa assoluta sulla maggior parte delle materie (sanità, istruzione, ambiente, lavoro, … ) su cui attualmente Stato e regione legiferano in modo ‘concorrente’.

Cosa accadrà quando lo Stato non avrà più voce in capitolo e non potrà stabilire le norme generali a cui le regioni devono attenersi? Accadrà che sarà spezzata l’unità del paese e ogni regione avrà la sua sanità, la sua istruzione, le sue leggi sul lavoro e sull’ambiente e persino sul rapporto con l’Europa. Diremo di fatto addio ai principi costituzionali e all’unità del Paese. Diremo addio anche alla perequazione perché le regioni che hanno chiesto l’autonomia intendono trattenere per sé il gettito fiscale dei cittadini residenti e non lasciare che una parte vada nel fondo perequativo che la Costituzione stessa vuole vedere utilizzato “per i territori con meno capacità fiscale” (art.119), in un’ottica mutualistica e cooperativa

Ma di tutto questo non si parla. Il silenzio dei mezzi di informazione è pressocché totale.

Ecco perché il problema che si pone, e di cui ieri si è anche discusso, è quello di fare circolare le informazioni e di spiegare al maggior numero di cittadini quali sarebbero le conseguenze della approvazione di una riforma che non potrà essere soggetta a modifiche o cancellazioni. Nata infatti come accordo ‘privato’ tra Stato e Regione, l’intesa potrà essere modificata solo da un nuovo accordo tra le parti. Il Parlamento ne è tenuto fuori e non è prevista neanche la possibilità di un referendum abrogativo.

Per fortuna un ripensamento sulla Autonomia Differenziata è in corso in alcuni partiti e in alcuni sindacati che all’inizio si erano mostrati favorevoli. Tenere alta l’attenzione sulle criticità di questa riforma, creare occasioni di discussione e di approfondimento nelle scuole, nelle piazze, nei posti di lavoro, nelle periferie degradate, individuare forme di protesta efficaci: su questa strada devono muoversi i comitati per il ritiro di ogni forma di autonomia differenziata.

Occorre, soprattutto fare cogliere lo strettissimo legame che c’è fra l’attacco ai fondamentali principi costituzionali e la vita quotidiana della nostra popolazione. Se si realizzerà l’autonomia differenziata, verrà meno quell’idea di eguaglianza, di pari opportunità, di diritti universali che caratterizza il nostro testo Costituzionale e che, soprattutto in certi periodi, si è tradotta in una crescita complessiva e generalizzata del Paese. In Italia, per la prima volta dalla ricostruzione avviata nel secondo dopoguerra, milioni di famiglie vivono sotto la soglia di povertà, per curarsi sono sempre più frequenti i viaggi della speranza verso le strutture del nord, il sistema dell’istruzione (a partire dalla dispersione e da servizi fondamentali come le mense scolastiche) evidenzia una profonda divisione. La fine delle gabbie salariali (cioè la differenziazione dei salari fra nord e sud), i contratti nazionali di lavoro avevano contribuito a rendere più giusta e unita la repubblica, l’autonomia differenziata accelererà i processi di disgregazione e precarizzazione del lavoro e della vita.

Siamo, perciò, solo all’inizio di un percorso nel quale dobbiamo impegnarci a trovare soluzioni creative e condivise, uscendo dal giro di chi è già informato e convinto, unendo sud e nord del Paese nella consapevolezza che la solidarietà non solo è un fondamentale valore comune, ma è l’unica strada per garantire migliori condizioni di vita per tutti.

1 Comment

  1. Non sono certo a favore dell’AD ma per noi meridionali il grosso problema è una classe politica incapace , incompetente e miope.

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