//

Pestaggio di Stato

3 mins read

Dei fatti accaduti a Santa Maria Capua Vetere, nel carcere Francesco Uccella, si è parlato nella biblioteca della chiesa Valdese di via Naumachia, dove, lo scorso 20 gennaio, il giornalista del quotidiano Domani, Nello Trocchia, ha presentato il suo libro Pestaggio di Stato.

Era il 6 aprile del 2020 quando 286 agenti della polizia penitenziaria irruppero nel reparto “Nilo” del penitenziario, in tenuta antisommossa, per reprimere una rivolta che in sostanza non era mai avvenuta. La repressione avvenne con una grande violenza intrisa di volgarità miserabili, calci, schiaffi, sputi e umiliazioni plateali. I fatti avvenuti quel giorno vennero subito denunciati da parenti e avvocati, ma altrettanto rapidamente vennero minimizzati, se non negati, dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP).

Il carcere Francesco. Uccella è una casa circondariale che ospita persone in attesa di giudizio e quelle con pene da scontare inferiori a 5 anni. Nello Trocchia ha raccontato di aver subito iniziato a scrivere dell’accaduto, ma le notizie, come spesso in situazione analoga, erano rimaste a mezz’aria, in attesa di concretizzarsi, o meno, con una prova evidente.

Il 14 agosto la svolta; a Santa Maria Capua Vetere il giornalista incontra un testimone oculare, ufficialmente riconosciuto, che gli descrive dettagliatamente i fatti e gli riferisce delle inchieste interne all’amministrazione carceraria che si concludono con la diffida allo stesso testimone di divulgare quanto visto e confermato anche dalle registrazioni in video, interne al reparto Nilo. Ed è proprio la notizia dell’esistenza di filmati a fare scattare in Trocchia la scintilla.

Per inquadrare meglio i fatti è necessario ricordare che il 30 Gennaio 2020, con la dichiarazione dello stato di emergenza da parte dell’organizzazione mondiale della sanità (OMS), era iniziata la stagione del COVID. Gli ambienti ristretti e affollati, tra cui il carcere Uccella dove i detenuti sono in sovrannumero rispetto alla capacità ricettiva, sono quelli che corrono i rischi maggiori.

L’Amministrazione carceraria non trova di meglio che sospendere le visite dei parenti, con grande delusione e rabbia dei carcerati per i quali l’incontro con i parenti rappresenta un momento molto importante. La paura ed il malumore serpeggiano tra i detenuti del reparto Nilo, che sono privi di presidi sanitari personali. Il giorno 5 Aprile monta una protesta, fatta di clamori e blocco delle porte interne, che non produce danni e che rientra dopo un colloquio dei detenuti con la direttrice che promette una serie di provvedimenti per migliorare la situazione ambientale.

Nel corso della presentazione, Trocchia precisa che il carcere Uccella non ospita condannati al 41 bis, e che presso il reparto Nilo sono reclusi i condannati per reati comuni contro il patrimonio e contro la persona, come lo spaccio ed il consumo di droghe, la rapina, il furto; insomma i “poveracci”, senza risorse economiche e sociali, molti dei quali giovani e stranieri, cioè quelli di più basso livello criminale; non ci sono “colletti bianchi”, mafiosi o terroristi.

E racconta che tutti i reparti di questo carcere hanno il nome di un fiume, Nilo, Danubio, Tamigi, ecc., ma – paradossalmemte – nei rubinetti dei reparti manca l’acqua potabile.

Il libro in parola mette in evidenza due aspetti importanti nella vita delle carceri italiane. Il primo riguarda l’articolo 3 della Costituzione, che afferma “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Un principio ancora non realizzato pienamente neanche per il cittadino comune, ma violato con maggiore frequenza nelle carceri, nei confronti degli elementi più deboli.

Trocchia ricorda che, nelle carceri (spesso sovraffollate), chi può permetttersi di pagare l’assistenza di buoni avvocati non subisce violenze gratuite, ottiene con prontezza le riduzioni di pena possibili o accede a pene alternative, può godere di buona assistenza sanitaria, vitto integrativo, permessi. Ottenere questi benefici per i meno fortunati per censo e condizioni sociali, per i diversi per razza, lingua, religione, è più difficile

Nel libro troviamo riferimenti ad un gran numero di esplosioni di rabbia all’interno delle carceri, avvenute nello stesso periodo di quella raccontata, con livelli di violenza superiori e con esiti diversi, evasioni, distruzioni, incendi, morti (Salerno, Poggioreale, Foggia, Melfi, Modena, Rieti, Bologna, ecc.). A questa violenza lo Stato risponde con violenza maggiore, di cui si hanno di solito notizie frammentarie e unilaterali, come quelle del primo periodo di Santa Maria Capua Vetere, silenziate dal DAP.

Oltre a questa sigla (DAP, dipartimento amministrazione penitenziaria), troviamo nel testo altre denominazioni sconosciute al grande pubblico: i “foderi”, coloro che tengono in custodia le armi nascoste; la “cella zero”, luogo chiuso, isolato, senza acqua e senza wc, interno al carcere, dove i GOM ossia i gruppi operativi mobili e i GOS i gruppi operativi speciali mostrano la faccia nascosta e feroce dello Stato torturando i detenuti; il “sopravitto” ovvero il frutto drogato di una trattativa tra l’amministrazione carceraria e la ditta che dovrà fornire i pasti ai detenuti a conclusione della quale si pattuisce che colazione, pranzo e cena vengono valutati per 2,5 euro al giorno per ogni detenuto, però, di contro, la stessa ditta ha diritto a fornire, all’interno del carcere, beni secondari di consumo, come attrezzi per la barba ed i capelli, saponi per la doccia, merendine, bevande, al prezzo di tre, quattro o cinque volte superiore di quello del mercato esterno. E non viene taciuta l’esistenza in carcere del “carrello della felicità”, il carrello con gli psicofarmaci messi a disposizione dei detenuti, giornalmente, senza un vero controllo medico.

Questo libro ci mostra quanto possa essere arrogante e violento il potere costituito e come ci sia un tentativo costante di nascondere fatti e abitudini che fuori dal carcere sarebbero giudicati veri e propri reati. E per questo vale la pena leggerlo.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Gli ultimi articoli - Cultura