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Borsellino, se la giustizia non basta

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Quale bilancio a 30 anni dalla morte di Borsellino? Da questo interrogativo sono partiti i protagonisti dell’incontro organizzato, qualche giorno fa, dalla Chiesa valdese di Catania nella Biblioteca Navarria.

Piuttosto che continuare a chiedersi chi, e per conto di chi, abbia ucciso il giudice Borsellino, occorre, come ha suggerito il moderatore Antonio Ortoleva, provare a “costruire una verità condivisa e condivisibile”.

Stanca di commemorazioni e celebrazioni, Adriana Laudani, presidente di Memoria e Futuro, rilancia l’impegno preso due anni fa all’arena Argentina di portare avanti una battaglia contro i poteri occulti per la legalità. Attraverso l’affermazione della legalità cercare di cambiare in meglio la vita degli uomini, delle donne e dei ragazzi, perché l’illegalità produce e accresce le disuguaglianze, toglie i diritti e le libertà.

Quest’anno il tema centrale dell’Antimafia sociale sarà “la povertà educativa e la devianza giovanile” e si avvarrà della collaborazione del nuovo vescovo di Catania, Luigi Renna.

Ma per costruire una memoria condivisa è necessario una ricostruzione della verità storica soprattutto su un fenomeno così complesso come quello della mafia.

“Abbiamo delegato alla magistratura – chiosa Laudani – il monopolio esclusivo per l’accertamento della verità. Ci siamo deresponsabilizzati. La società civile deve riappropriarsi della ricostruzione di pezzi di vita e condividerli”.

Per questo occorre conoscere e far conoscere soprattutto ai giovani le tappe attraverso le quali si è avviato il sistema democratico nel nostro paese in cui i poteri legalmente costituiti hanno deciso di cedere un pezzo del loro potere legittimo ai poteri illegali e criminali.

E rammenta l’ingresso degli alleati in Sicilia e gli accordi con la mafia americana per le elezioni dei sindaci, uno su tutti il mafioso Luciano Liggio a Caltanissetta. O la strage di Portella della ginestra ad opera del bandito Giuliano e della sua banda. Quest’ultimo si era incontrato con esponenti politici per concordare l’esecuzione, ma era anche in contatto con i servizi segreti americani e con cellule del nascente movimento indipendentista siciliano: era l’esecutore di un delitto i cui mandanti erano coloro che costituivano un sistema di potere fortissimo che andava conservato.

Se una giovane democrazia subisce un vulnus di tale portata, commenta Laudani, ne esce debole e sotto scacco. I delitti e le stragi politiche hanno determinato il corso politico di questo paese, Mattarella, Borsellino, tutti sono stati uccisi perché avevano toccato fili che non si possono toccare: ovvero la connessione tra poteri legali e illegali.

Dobbiamo, come società civile, conclude Laudani con una punta di polemica, ricostruire dal basso questa storia perché sui libri di storia non esiste né un capitolo né un paragrafo dedicato alla mafia e purtroppo su questo gli storici, salvo qualche eccezione, non hanno prodotto nulla .

Attilio Bolzoni, giornalista di Repubblica e di Domani oltre che scrittore, dopo aver evidenziato l’autoreferenzialità di molti incontri sulla mafia, sposta il suo intervento sulla magistratura sfatando un luogo comune secondo cui le sentenze non si commentano. Ma chi l’ha detto? Quando i giudici dicono o fanno porcherie si possono commentare. E’ il caso di una sentenza emanata circa 40 anni fa da un procuratore che aveva assolto i killer del capitano Basile con questa motivazione, “in presenza di un minor numero di indizi sarebbe stato possibile condannare più facilmente gli odierni imputati”.

A proposito del depistaggio seguito all’uccisione del giudice Borsellino, il giornalista ricorda i comportamenti ‘distratti’ del procuratore Tinebra e del procuratore capo Giammanco, la scomparsa dell’Agenda rossa e la presenza di uomini in giacca e cravatta dei servizi segreti sul luogo del crimine, e ancora i testimoni, le rivelazioni, le piste che – anno dopo anno – hanno confuso e condizionato la scena della strage. Per questo dopo 30 anni i magistrati non riusciranno a cavare un ragno dal buco Del resto secondo Bolzoni il cratere di Capaci è troppo grande per entrare in un’aula di giustizia e dunque dobbiamo pensarci noi come società civile a fare memoria.

Per onorare la memoria di Falcone e Borsellino bisogna indagare non solo su ciò che è accaduto ma anche su quello che sta accadendo oggi: c’è infatti una nuova mafia, apparentemente senza mafiosi, che ha rapporti con gli apparati legali. E ricorda il disinvolto ministro degli interni Alfano che si presentava in pubblico con Montante indagato per mafia.

In tutte le indagini che sono state condotte dalla magistratura c’è solo la condanna all’ergastolo e la disarticolazione totale di quella mafia spaventosa che aveva seminato terrore in Sicilia. “Ma che interesse aveva Cosa Nostra, si domanda il giornalista, a farsi dare l’ergastolo, ad avere i patrimoni sequestrati? Tutti i latitanti che non si trovavano mai , dopo la strage di Borsellino , furono tutti trovati e arrestati nelle proprie abitazioni. Evidentemente non servivano più i vari Rejna, Bagarella…

D’altra parte i giudici non sono tutti come Falcone e Borsellino, dalla corporazione dei giudici occorre guardarsi: c’è un pezzo di magistratura che funziona bene e un pezzo che è al servizio del potere.

C’è una narrazione, anche giornalsitica, sui fatti di mafia che ancora oggi fa presa e ricorda gli esecutori mafiosi dei grandi omicidi, come quelli di Pio La Torre o del giudice Chinnici, trascurando che il primo aveva lavorato ad una legge sull’associazione mafiosa e sulla confisca dei patrimoni che si era persa nei cassetti del Parlamento e che Chinnici stava indagando sui fratelli Salvo, gli esattori siciliani più ricchi e potenti della Sicilia, amici di Andreotti e Lima, polmone finanziario della famiglia più inquinata dell’isola.

Purtroppo la magistratura giudicante, conclude Bolzoni, sta tornando molto indietro e dal 1992 non sono trascorsi 30 anni bensì 300 anni!

Tocca alla società civile responsabilizzarsi, non fare passi indietro, come ha invitato a fare Enzo Guarnera, avvocato da anni attivo sul fronte dell’atimafia, che – a conclusione del suo intevento – ha dichiarato di “voler morire in trincea, non seduto in poltrona”.

Il video dell’incontro a questo link

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