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Ciancio. Restituiti i beni, le ombre restano

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Il dissequestro dei beni dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo è definitivo. Lo ha deciso la quinta sezione della Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Procura generale di Catania contro il provvedimento della Corte d’appello che, nel marzo 2020, aveva disposto la restituzione di tutti i beni.

Mentre il processo che lo vede imputato di concorso esterno in associazione mafiosa va avanti, giornali, televisioni, società e beni immobili tornano definitivamente nelle mani del potente editore.

Ha dichiarato l’avvocato Mario Peluso, difensore di Mario Ciancio: “Decidendo per l’inammissibilità del ricorso della PG ha confermato le ragioni del decreto di appello con cui era stato restituito il patrimonio a Mario Ciancio e alla sua famiglia”.

Ma quali sono le “ragioni” e i contenuti di quel decreto? Senza dubbio si tratta di un decreto estremamente favorevole all’editore: il patrimonio di Ciancio appare proporzionato alle entrate, non vi è prova di aver utilizzato capitali illeciti nelle sue attività imprenditoriali, non è stato provato il consapevole contributo in favore di Cosa nostra. Mario Ciancio non è dunque socialmente pericoloso e in ragione di ciò la Corte d’appello ha ordinato la restituzioni del suo ingente patrimonio.

Ma, allo stesso tempo, quel provvedimento, così mite e favorevole, proietta pesanti ombre sul profilo morale di Mario Ciancio, sul ruolo che esercitato sulla scena pubblica catanese e sui rapporti che ha stretto con la mafia. Scrivono gli stesi giudici che gli hanno restituito i beni: “Ciò che emerge in maniera univoca è che Mario Ciancio Sanfilippo era un imprenditore protetto da Cosa nostra catanese, considerato dall’organizzazione mafiosa come un amico”.

E, come se non bastasse sottolineano che Mario Ciancio Sanfilippo ha stretto con Cosa nostra catanese un “rapporto di contiguità e vicinanza”.

Dunque è vero, la decisione della Cassazione rende “definitivo” il dissequestro dei beni di Ciancio ma insieme ad esso diviene definitivo il giudizio espresso da un tribunale che ritrae Mario Ciancio Sanfilippo in rapporti di “cordialità, amicizia, vicinanza e contiguità” con la mafia.

Non è proprio il massimo per chi di mestiere fa l’editore. Se il famoso detto popolare recita: “Tutto è perduto, fuorché l’onore”, i giudici, per Mario Ciancio Sanfilippo, ne hanno scritto un altro e del tutto diverso: “Tutto è salvo, tranne l’onore”.

In attesa delle motivazioni della Cassazione ci viene in mente lo stupore manifestato dal procuratore Zuccaro dinanzi al decreto di dissequestro: “Come è possibile, si chiese allora, che i particolari rapporti esistenti tra Mario Ciancio e la mafia si siano potuti sviluppare senza rendere alcun favore all’organizzazione criminale?” Non è un interrogativo da poco. Speriamo che a Berlino ci sia un giudice in grado di rispondere.

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Ricapitolando

Nel settembre 2018 il tribunale di Catania emette un decreto di sequestro e confisca del patrimonio di Ciancio, valutato intorno ai 150 milioni di euro.

Nel marzo 2020 la Corte d’appello, sezione Misure di prevenzione, annulla il provvedimento di sequestro e confisca e ordina il dissequestro dei beni dell’editore.

La Procura generale di Catania presenta ricorso avverso al decreto di dissequestro.

Il 22 gennaio 2021 la Corte di Cassazione ritiene inammissibile il ricorso della Procura Generale.



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