I morti da piangere, i gravi danni alle infrastrutture e all’agricoltura
basteranno a riportare l’attenzione sulla necessità di curare e gestire il territorio ? O continueremo a dare la colpa delle esondazioni alle piogge, alla fatalità?
Sulla gestione di fiumi e torrenti, sugli errori fatti e sui criteri che dovrebbero guidare i futuri interventi, abbiamo sentito Giuseppe Rannisi, delegato Lipu (Lega italiana protezione uccelli) a Catania, ingegnere idraulico.
Gli abbiamo chiesto, innanzitutto, se ritiene che l’abusivismo edilizio a ridosso del mare e dei corsi d’acqua sia all’origine delle morti recenti, ad esempio a Castedaccia.
“E’ innegabile” ci risponde “la responsabilità dei cittadini che hanno costruito in luoghi ad alto rischio idraulico, pensando soltanto – in modo miope – al vantaggio immediato.
“Così come è innegabile la responsabilità degli amministratori che – spesso per non perdere consenso e voti – hanno omesso i dovuti controlli e non hanno demolito le abitazioni abusive, tanto più se costruite in luoghi pericolosi”.
“Eppure” prosegue “il problema è più ampio e più grave, perchè quella che manca è una vera e propria cultura della gestione del territorio e quindi anche dei corsi d’acqua”.
Ci facciamo spiegare meglio ed entriamo nel merito dei problemi, a partire da quello della pulizia degli alvei. Secondo Rannisi la pulizia è necessaria e opportuna quando implica la rimozione di rifiuti scaricati illegalmente nel letto dei fiumi.
Gli interventi, però, non devono riguardare la pulizia della vegetazione naturale, e non devono comportare escavazioni in alveo. “La vegetazione frena la furia dell’acqua e protegge dall’erosione; va inoltre conservata la rugosità del fondo degli alvei”.
Gli interventi quindi, a suo parere, non devono avere un impatto eccessivo e non devono interferire con le esigenze dell’ecosistema e con i cicli riproduttivi, andrebbero quindi evitati in primavera, periodo di nidificazione.
Diversamente si rischia di non risolvere i problemi ma piuttosto di aggravarli intervenendo in tratti di fiume naturali che andrebbero invece preservati per le tante valenze ambientali e culturali che essi conservano.
“I fiumi ed i torrenti hanno bisogno del loro spazio vitale e non possiamo pensare di relegarli all’interno di argini che si rivelano alla lunga troppo stretti.” dice ancora Rannisi
Cosa è invece accaduto? Molti fiumi, negli anni “60 del secolo scorso, sono stati regimentati all’interno di argini che oggi si sono rivelati insufficienti. Una scelta sbagliata perchè i fiumi devono avere il loro spazio di espansione e non dovrebbero essere divorati o ingabbiati.
Ecco perchè, aggiunge il delegato Lipu, “bisogna tornare ad una maggiore naturalità, ampliando la distanza fra gli argini, consentendo ai fiumi di riguadagnare il loro spazio vitale.
“Anche la semplice rimozione di un albero andrebbe valutata in un’ottica di alterazione del fiume. Il fiume va difeso e non ridotto ad un canale pulito. I fiumi sono le arterie ed il tessuto connettivo del territorio, dei corridoi ecologici naturali. Hanno contribuito a creare le pianure alluvionali come ad esempio la Piana di Catania.”
Non bisogna inoltre dimenticare la capacità di autodepurazione dei fiumi, che “vanno tutelati come patrimonio del nostro territorio, e ciò indipendentemente dalle tante normative esistenti sulla loro tutela”.
Quello che è mancato è stato il rispetto della natura, di quella natura che oggi ci si rivolta contro. Ecco perchè Rannisi invoca una nuova sensibilità, una diversa consapevolezza del ruolo che i corsi d’acqua hanno sul territorio e quindi sulla nostra vita.
La conversazione si chiude attorno ad un paradosso, comunque molto significativo.
Gli alvei dei fiumi sono stati ristretti sottraendo ad essi terreni ceduti per l’agricoltura, la stessa che oggi reclama i danni.
Rannisi fa anche un esempio concreto: “Oggi è previsto l’allargamento degli argini del Simeto in corrispondenza del Ponte Primosole; il fiume potrà così rioccupare terreni agricoli che prima della regimentazione del fiume facevano parte del suo letto.
“I terreni demaniali, ceduti nel secolo scorso ai privati, oggi si devono espropriare riacquistandoli dai privati”.
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non basta rinverdire la sensibilità per il territorio. B iosogna denunciare ed indicare i luoghi disastrati. Ogina in primo luogo e sollecitare l’abbattimento delle strutture in cemento armato costruite sulla scogliera di via Marittima. Per queste costruzioni l’autorità giudiziaria ha già deciso e condannato alla demolizione gli autori del malfatto. Per le strutture abusive eseguite sul demanio non esiste la prescrizione per cui l’abbattimento dovrebbe scattare subito. Ma chi denuncia ?Io ho denunciato ma sono rimasta inascoltata. Non ho devoti.