La terra trema ancora in questi giorni, nel centro Italia. Anche la Sicilia è un territorio a rischio e noi siciliani sappiamo bene che i nostri centri abitati necessitano di interventi di messa in sicurezza.
E non diteci che i soldi non ci sono!
Lo ha scritto di recente Chiara Organtini su L’Espresso, in un articolo dal titolo “La sicurezza dimenticata nel cassetto“. Ancora più esplicito il sottotitolo, “I soldi per la prevenzione del rischio sismico ci sono, ma le Regioni non li usano. E lo Stato sta a guardare”
Riprendiamo oggi la parte dell’articolo che riguarda la nostra isola e l’inquadramento generale sulla natura dei finanziamenti non utilizzati.
Organtini ricostruisce la storia del Fondo nazionale per la prevenzione del rischio sismico, nato nel 2009, all’indomani del terremoto dell’Aquila (la cui ricostruzione è ancora in corso), quando al governo c’era Berlusconi.
La cifra stanziata fu di 963 milioni di euro, dal 2010 al 2016, destinati alle regioni con più alta sismicità. Gli enti locali hanno speso solo una piccola parte di questa somma senza che lo Stato intervenisse in alcun modo.
“Con questi soldi bisognava migliorare e adeguare alle norme sismiche edifici pubblici e privati e farlo al più presto, diceva la legge. Già ai tempi, quel miliardo sembra una cifra insufficiente: ma confrontato con i 300 milioni destinati alle aree devastate dai due terremoti del 2016 e i due miliardi del fondo per gli investimenti infrastrutturali nell’ultima legge di bilancio non sembra poi così misero.
“Peccato che Regioni e Comuni non lo abbiano utilizzato a dovere: dal 2010 al 2016, su 4000 interventi finanziati, ne hanno concluso appena 660”, scrive Organtini.
Quattro le modalità di intervento previsto: edifici pubblici, privati, lavori urgenti, e studi di micro-zonazione sismica, vale a dire indagini per affrontare meglio gli eventi. Di questi studi – prosegue Organtini – ne risultano consegnati 916 sui 1608 finanziati.
Nel 2010 le regioni destinatarie erano Abruzzo e Marche, ma nessuno dei tre interventi urgenti previsti venne realizzato. Paradossalmente le ultime due annualità non sono state ancora ripartite.
L’ipotesi avanzata dalla giornalista è che la legge del 2009 sia figlia della fretta o dell’incuria. “Mettere in sicurezza edifici pubblici, antichi palazzi, ospedali, scuole, significa inciampare nei nulla osta delle sovrintendenze, nella burocrazia e nei vincoli di bilancio, se non si crea un iter snello”, che non è stato previsto.
Tutto, inoltre, era ed è in mano alla Protezione Civile, all’epoca guidata da Guido Bertolaso (della cui vicenda giudiziaria, per carità di patria, la giornalista tace), poi da Franco Gabrielli dal 2010 al 2015 e infine da Fabrizio Curcio.
“Oltre a occuparsi della ricostruzione dell’Aquila, rivelatasi una mangiatoia per corrotti e sprechi, la Protezione Civile deve monitorare l’uso dei contributi del fondo. Monitoraggio che però non risulta essere stato eseguito. La prima riunione del tavolo di monitoraggio arriva a marzo 2016, dopo sei anni in cui i sindaci chiedono continue deroghe.”
Sebbene nessuna soluzione venga prospettata, si pensa a come rifinanziare il fondo. Da notare che la Protezione Civile non ritira, come dovrebbe per legge, le risorse non spese da Regioni e Comuni.
Di urgenza si parla solo sulla carta visto che la Protezione Civile ammette candidamente: «Per realizzare interventi urgenti ci vogliono 5-6 anni».” Alla stessa Protezione viene comunque corrisposto un milione l’anno per “lo svolgimento delle attività connesse al fondo.”
Veniamo adesso al caso della Sicilia.
Quest’ultima riceve 102 milioni di euro in 6 anni, ma realizza soltanto tre degli otto interventi della prima annualità (2010): il ponte di Biddemi e il ponte di Scicli, nel ragusano, e la sede della protezione civile a Caltavuturo (Palermo).
Nello stesso anno, vengono avviati altri tre lavori a Ragusa, Messina e Trapani. Negli anni successivi il nulla. Parte qualche opera nel messinese ma non se ne vede ancora la fine.
Organtini ricorda poi i quattro edifici pubblici finanziati nella provincia di Catania, di cui i comuni non presentano i piani facendo sfumare gli interventi.
Non si riescono a mettere in sicurezza neanche gli ospedali di Comiso e Ragusa: 18 milioni di euro sospesi. Degli interventi finanziati per le scuole di Messina e Catania, e per la caserma dei vigili del fuoco di Ragusa, nessuno viene realizzato.
“Eppure l’Isola ha oltre metà del suo territorio a elevato rischio sismico. Sul totale di 77 strutture da adeguare, si interviene solo su cinque. E tra i privati, un solo fortunato si aggiudica 315mila euro di contributo, per un edificio su via Etnea a Catania, ma in Regione non si sa di che immobile si tratti. Per la Protezione Civile regionale, la legge 77 è troppo complicata e i Comuni non possono farcela.”
Puoi leggere l’articolo per intero a questo link
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