La stazione centrale di Catania è un parcheggio. Stanno lì in attesa di raggiungere una remota città della Svezia o del nord Europa. Sono almeno 15 i piccoli migranti africani che cercano di sopravvivere tra archi e binari, strade e aiuole, intorno allo scalo catanese.
La maggior parte fugge dall’Eritrea, uno Stato che, secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite, “commette sistematicamente crimini contro l’umanità”. Sono passati attraverso la Libia dove, prigionieri, hanno subito percosse e torture o visto morire di fame e sete i loro amici.
Il loro tragico viaggio, iniziato a piedi e proseguito su malridotti barconi, è lungi dall’essere concluso. Vivono in strada perché temono che i centri possano trasformarsi in prigioni dalle quali non si può più evadere.
Non hanno cibo e vestiti, né acqua potabile, né un tetto per ripararsi dal freddo o dal sole rovente dell’estate. Ogni tanto volontari di associazioni e ONG distribuiscono panini e saponette.
Dicono di aver 18 anni perché da minori temono di dover rimanere in Italia.
Per tentare di raggranellare 38 euro, la somma necessaria a comprare il biglietto per Roma, fanno lavoretti come lavare il vetro delle auto o sperano di ricevere denaro dalle famiglie. “Finiscono per rivolgersi a intermediari, che in alcuni casi chiedono soldi in cambio. E’ difficile sapere se il mittente del denaro è un parente o un trafficante, con il quale si finisce per contrarre un debito “, afferma Andrea Bottazzi, tecnico del progetto ‘Open Europe‘ di Oxfam Italia.
Al centro della piazza c’è un divano abbandonato e malridotto ma per tre ragazzini etiopi in fuga è comodo abbastanza. Uno ha messo due settimane per raggiungere la Sicilia dall’Egitto, quindici giorni attraverso mare e mare e solo mare. Si fa dare carta e penna per disegnare l’itinerario del suo viaggio, Etiopia , Sudan, Egitto, Sicilia.
Un altro beve dell’acqua stagnante. Tutti cercano di ottenere refrigerio bagnandosi nell’acqua della fontana e Proserpina, che tenta anch’essa inutilmente una fuga disperata, li guarda dall’alto, impotente.
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