Adesso la Sicilia è davvero sola, periferia, più che mai isola. Non solo, infatti, da giugno sarà abolito definitivamente l’ultimo treno a lunga percorrenza. C’è di più. Lo denuncia un nuovo Comunicato del Comitato pendolari di Giosuè Malaponti e del Ciufer (Comitato Italiano Utenti delle Ferrovie Regionali) che riassume e aggiorna l’elenco di tutte le malefatte che Trenitalia, con la complicità del ministro Lupi, continua a perpetrare ai danni degli imbelli siciliani.
La definitiva abolizione (a partire da giugno) dell’ultimo treno a lunga percorrenza rimasto.
Le stesse lunghe percorrenze considerate come percorsi di metropolitana, per cui per andare da Catania a Milano o a Venezia bisognerà fare tre cambi (pardon, rotture … di carico): a Messina, a Villa S. Giovanni e a Roma.
L’aumento del costo del biglietto di circa il 50%, in cambio del guadagno di circa un’ora sulla tratta Villa S. Giovanni – Roma Termini.
L’ultima novità è che, al momento non è possibile acquistare, sull’orario estivo, biglietti dei treni in partenza dalla Sicilia con l’anticipo di 4 mesi, come è concesso a tutto il resto del mondo, con tutto ciò che ne consegue sulla possibilità di programmare adeguatamente i viaggi e le vacanze della prossima estate, visite all’Expò comprese.
Certo, se il mancato rivoluzionario Rosario Crocetta, piuttosto che rifiutarsi di ricevere nel dignitosissimo Palazzo d’Orléans il sindaco di Messina Accorinti, sol perché non provvisto di regolamentare giacca e cravatta (ma cosa farà quando il Presidente Mattarella si presenterà con la sua Panda grigia?), indossasse lui una tuta mimetica e imbracciasse un bazooka per risolvere con le buone maniere i rapporti con Trenitalia, sarebbe sempre troppo tardi.
Ma Accorinti è anche l’unico che si è preso la briga, almeno finora, di scrivere una lettera di protesta al Ministro. Lo stesso non hanno fatto, pur vestendo in giacca e cravatta, tutti gli altri sindaci, Orlando e Bianco compresi.
Ma, aggiungiamo noi, a questo punto occorre porre un problema più generale.
La questione non riguarda più l’esistenza di questa o quella corsa di treno. La vera domanda è: il trasporto ferroviario dalla Sicilia verso il Continente è ancora pensato come un servizio pubblico di prima necessità? Se sì, perché Trenitalia non è obbligata dal governo e messa nelle condizioni di operare di conseguenza, cioè tenendo in prima considerazione l’interesse sociale e collettivo piuttosto che solo quello del bilancio aziendale?
Cosa accadrebbe se si ragionasse negli stessi termini (e forse sta già cominciando ad accadere) per la sanità, l’istruzione, la sicurezza e le altre strutture del trasporto pubblico?
Naturalmente questo non vuol dire (come è stato spesso finora) autorizzare a spendere e spandere tanto poi alla fine c’è sempre un Pantalone che paga. Anche i servizi pubblici debbono essere gestiti in maniera corretta e secondo le regole della buona economia, ma questo non vuol dire che debbano prevalere solo i criteri aziendalisti del bilancio in pareggio.
La fiscalità generale deve anche servire a finanziare un servizio pubblico non del tutto autosufficiente, se questo concorre a riequilibrare le tante diseguaglianze che connotano la nostra società.
E poi, se un’azienda come Trenitalia, che ancora mantiene di fatto, se non di diritto, i caratteri di un’azienda pubblica, sta investendo tutti i suoi utili sul trasporto veloce, non dovrebbe sentirsi in obbligo di spendere una quota tutto sommato piccola a favore di una regione che probabilmente non potrà mai essere servita dall’alta velocità. E non per la mancanza del ponte sullo Stretto, come si va cianciando, ma per l’improponibilità economica di dotare l’interminabile Calabria di una linea di alta velocità vera e non fasulla come quella che si sta attualmente contrabbandando.
Se la nostra benemerita classe dirigente, smettendo di accapigliarsi per accaparrarsi questo o quel posto, si mettesse ad operare in funzione del bene comune ripartendo da questa convinzione, forse ce ne verrebbe qualcosa di buono e di utile.
Ma non sembra cosa per la quale!
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