Loro sì, i migranti, erano davvero sinceramente commossi, non abituati come sono ad essere accolti dalla ‘Istituzione’, loro e i loro fratelli. Questi ultimi ricevuti finalmente, ma da morti, mercoledì mattina a Palazzo Platamone.
Per una volta i giovani stranieri, superstiti del naufragio del 12 maggio scorso, conterranei africani, migranti provenienti dall’Afganistan e da altri paesi asiatici, si sono sentiti oggetto di attenzione e di rispetto, hanno potuto vivere in prima persona un momento di commemorazione per i fratelli annegati nel Mediterraneo, non solo nella fatidica data del 12 maggio, ma anche in altre analoghe, tragiche occasioni.
Toccanti e significative, più che i discorsi vibrati e forse un po’ retorici delle massime autorità civili e religiose della città, presenti in massa all’evento, più che gli interventi a tratti auto-refenziali dei responsabili delle associazioni che si occupano dei migranti, sono state le preghiere pronunciate dai cristiani copti e dai musulmani presenti. Questi ultimi chiamati a raccolta attorno a sé dal presidente della comunità islamica siciliana Kheit Abdelhafid per recitare insieme la ‘loro’ preghiera per i morti.
Un evento quindi simbolicamente importante, oltre che mediaticamente efficace, che potrebbe sembrare un segnale di superamento di atteggiamenti indifferenti o addirittura razzisti nei confronti dei migranti che sbarcano sulle nostre coste, se non fosse accompagnato da altri comportamenti e da situazioni che continuano a suscitare quanto meno preoccupazioni e domande.
Come mai Simon, nigeriano cristiano ospite al Cara di Mineo, in attesa di essere convocato dalla commissione che deve valutare la sua richiesta di asilo (che ha molte probabilità di essere accolta, data la situazione del paese di provenienza), dopo sette mesi di permanenza al Centro non parla ancora una parola di italiano, non ha nemmeno ricevuto la tessera STP (Straniero Temporaneamente Presente) ed è quindi inesistente dal punto di vista sanitario nonostante avrebbe bisogno di effettuare urgenti controlli sulla sua salute?
L’accanimento con cui i vigili urbani controllano e sequestrano i poveri oggetti degli ambulanti senegalesi che commettono il reato di vendere merci contraffate (per venire incontro alle richieste di nostri concittadini innamorati di marchi ‘in’ come Hogan ed Hermes) è pari alla solerzia con cui vengono, o dovrebbero venire, controllati i venditori locali che commettono analoghe (o differenti) illegalità in varie zone della nostra città? Eppure nel primo caso si tratta di persone che hanno non solo un regolare permesso di soggiorno ma anche una regolare licenza e che pagano le tasse…
Come mai resta ancora inutilizzata la casa di accoglienza don Pino Puglisi, bene sequestrato alla mafia, concesso in comodato d’uso al Centro Astalli, attrezzata e pronta per ospitare trenta persone, piccolo numero ma comunque utile e forse necessario per gestire situazioni di emergenza?
E, soprattutto, come viene utilizzata la valanga di quattrini che gira attorno all’affare immigrazione?
Domande che attendono risposta davanti a quelle 17 bare, in fila l’una accanto all’altra, le due più piccole, bianche, davanti alle altre. Domande cui dobbiamo dare risposta per gli altri migranti che, composti e silenziosi, in fila, con un fiore in mano, attendevano di salutare i loro fratelli più sfortunati, morti per conquistare una vita migliore.
Sulla fretta di trasferire in Sardegna e Toscana la maggioranza dei superstiti del naufragio si interroga in un Comunicato la Rete Antirazzista di Catania, ritenendo che questo abbia reso più difficile l’identificazione delle vittime e l’accertamento delle responsabilità. Ribadisce inoltre l’opportunità di concedere la protezione umanitaria di un anno a tutti/e coloro che fuggono dalle guerre e chiede di sottoscrivere l’appello sul diritto d’asilo europeo e di sostenere le iniziative delle associazioni che hanno promosso la Carta di Lampedusa.
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