Vecchi e nuovi poveri a Catania

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Non solo di numeri ma soprattutto di fatti e situazioni di povertà si è parlato giovedì sera nella sagrestia monumentale di San Nicola, in un confronto tra gruppi e persone che operano o vivono nei quartieri più difficili della nostra città.
Lo spunto è stato fornito dallo studio di Simona Gozzo, ricercatrice del dipartimento di Scienze Politiche, sulla base di dati Istat nazionali e dati locali provenienti da un sondaggio voluto e gestito dalla CISL.
Hanno introdotto brevemente i lavori dell’assemblea Antonino Mirone, docente dell’Università di Catania, che ha sintetizzato i risultati della ricerca integrando alcuni dati, non recenti, con quelli appena pubblicati da Bankitalia, e Maurizio Attanasio, della segreteria provinciale CISL che ha illustrato finalità e metodo del sondaggio realizzato con la collaborazione dei pensionati iscritti al sindacato.
Poi la parola è stata lasciata a chi volesse raccontare, sulla base dell’esperienza personale o di gruppo, la propria percezione dell’attuale aumento dei fenomeni di povertà. Ne è venuto fuori un panorama molto variegato, ricco di sottolineature differenti e talora anche contrastanti tra loro.
Della cattiva politica e della mafia che approfittano della povertà diffusa per controllare meglio il territorio ha parlato Giovanni Caruso del Gapa, associazione che opera a san Cristoforo, ricordando come sia proprio la mafia ad offrire ai giovani che escono dalla scuola senza prospettive, un ‘lavoro’ fra le sue fila.
E sul tema del lavoro ritorna per parlare delle donne che non hanno occupazione, degli artigiani che quasi non esistono più, sebbene la loro presenza caratterizzasse in passato il quartiere e offrisse ai ragazzi la possibilità di divenire apprendisti e imparare un mestiere.
Racconta anche della povertà culturale, dell’analfabetismo di ritorno che rende problematico anche l’avvio di una pratica per l’invalidità a favore di bambini affetti da gravi patologie. E cosa fanno le istituzioni? Chiudono le scuole, unico presidio sociale.
Sull’ambiguità di san Cristoforo, quartiere geograficamente posto al centro della città, ma avvertito dai più come ‘periferia‘ dove non vige nessuna legge dello Stato, si sofferma il parroco don Ezio Coco. E racconta delle povertà anche esistenziali e della sfiducia, perché quasi nulla si ottiene di ciò che si chiede alle istituzioni, compresa la messa in sicurezza dei locali parrocchiali, tuttora inagibili per pericolo di crollo.
“Dobbiamo dare voce ai nostri poveri” dice suor Lucia dell’Oratorio Giovanni Paolo II di Librino “facendo presenti i loro bisogni a chi ha responsabilità decisionali e potrebbe non sapere quale sia la vera situazione della gente”. C’è una nota di freschezza in questa donna minuta ma determinata che cerca di infondere fiducia nella possibilità di essere ascoltati dalle istituzioni, quasi inconsapevole dell’autorevolezza che le viene non solo dal suo impegno ma anche dall’avere alle spalle la famiglia salesiana.
Un approccio più teorico è quello di Emiliano Abramo della Comunità di s.Egidio che ravvisa la necessità di un nuovo umanesimo e di un incontro che superi le difficoltà di dialogo tra chi vive nei quartieri ricchi e chi vive in quelli poveri. Eppure sono molto concreti i gesti che il suo gruppo pone nei confronti della città (che Argo ha raccontato di recente) e sono una spia del cambiamento che sta avvenendo. I senza tetto che essi assistono con i loro interventi notturni ormai non sono solo stranieri ma soprattutto ‘locali’ impoveriti da abbandoni familiari e perdita di lavoro.
Anche padre Notari, parroco del Crocifisso dei Miracoli, sceglie di approfondire l’analisi teorica su cosa sia la povertà, ma nulla racconta sulla esperienza di accoglienza dei senza fissa dimora intrapresa nella sua parrocchia, una esperienza limitata nel tempo e nelle modalità ma su cui sarebbe stato interessante riflettere.
Degli ultimi tra gli ultimi, i migranti ‘forzati’, fuggiti da guerre e persecuzioni, per i quali non esiste -a livello nazionale- uno straccio di progetto di reale accoglienza, parla Elvira Iovino del Centro Astalli. In cambio enormi cifre continuano ad essere spese dallo Stato per gestire -in regime di emergenza e quindi senza controlli- i richiedenti asilo.
Ospitati (se così si può dire) in piccole o in mega strutture come i Cara, i migranti vengono poi lasciati per strada, senza conoscere la lingua o essere aiutati a trovare un lavoro. E sempre più si fanno pagare anche a loro i costi della crisi: accesso negato al gratuito patrocinio, perdita dell’esenzione ticket, aumento del costo delle marche da bollo per le pratiche e via discorrendo.
Un significativo specchio della crisi è il mercatino dell’usato gestito da Mani Tese che, nato per finanziare progetti di intervento nel sud del mondo, sta diventando sempre più un punto di riferimento per i cittadini catanesi in
difficoltà che non chiedono aiuto, per pudore, a istituzioni o associazioni ma possono trovare per pochi euro abbigliamento e oggetti per la casa in via Montenero.
Lo spiega Marco Gurrieri, raccontando come la crescita della devianza, generata anche dalla povertà, determini richieste sempre più frequenti da parte delle assistenti sociali affichè Mani Tese accolga un maggior numero di minori ‘messi alla prova’. L’associazione non sempre può rispondere positivamente perchè non ha le forze necessarie per seguire adeguatamente questi ragazzi che vanno anche educati ad un diverso stile di vita.
Sull’importanza del lavoro regolare per ridare stabilità economica ma anche dignità si è soffermata Sara Fagone, volontaria alla CGIL di Librino, quartiere in cui abita. Il maggiore impoverimento lo individua nella classe media, soprattutto in seguito alla perdita del lavoro, e con schiettezza denuncia le false povertà, la povertà apparente di chi risulta senza reddito ma lavora in nero, quella delle persone ritenute bisognose che acquistano mobili e telefonini costosi. E c’è chi approfitta degli aiuti offerti da associazioni e parrocchie pur non essendo in stato di necessità, a discapito di chi avrebbe maggiore bisogno.
Di povertà morale e di falsi bisogni indotti ma anche di esperienze positive da valorizzare parla Emma Seminara, giudice di sorveglianza dei minori. Racconta di donne che sono diventate povere perchè si sono ribellate a mariti e compagni che le maltrattavano, di ragazzi sempre meno mandati in istituto, di case famiglia che funzionano, di coppie generose che prendono bambini in affidamento. E fa riferimento al volontariato presente nel territorio, alle esperienze educative proposte ai ragazzi dei quartieri a rischio, attraverso il rugby, la musica, lo scoutismo.
Proprio dell’esperienza del gruppo Musicainsieme a Librino, che utilizza la musica come occasione di formazione per i ragazzi parlano la violinista Valentina Caiolo e la pediatra Loredana Caltabiano, che da 18 anni esercita la sua professione nel quartiere di Librino del quale vuole mettere in evidenzia anche altre positività, le buone scuole e l’impegno dei dirigenti scolastici, le famiglie aiutate dalle parrocchie, l’impegno con i bambini Rom.
Paola Fecarotta, psicologa, ha infine ricordato la ‘nuova povertà’ dei giovani trentenni, privi di garanzie e costretti ad una precarietà che impedisce di progettare il proprio futuro.
Non è un caso che don Pino Ruggieri, chiudendo il dibattito, abbia sottolineato la ricchezza e la diversità degli approcci augurandosi che ognuno riconosca il valore dell’azione dell’altro, implicitamente sostenendo l’esigenza espressa da Gurrieri, rappresentante anche del Centro di Servizio per il Volontariato Etneo, di un superamento dell’ottica di difesa del proprio orticello da parte dei vari gruppi.
A quando un altro incontro per elaborare anche qualche proposta? Lo chiede la giornalista Pinella Leocata, interpretando il sentire comune.

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