Educazione alla salute, un impegno da riprendere. Questo il tema del corso di aggiornamento per il personale scolastico promosso dal CESP (Centro Studi per la Scuola Pubblica) , insieme con la LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS), svoltosi il 10 dicembre presso l’Istituto Carlo Gemmellaro di Catania. Una riflessione resa tanto più urgente dal silenzio che, su queste tematiche, si ‘sente’ da tempo all’interno delle scuole.
Infatti, il contenimento delle spese (vale a dire la politica di tagli di personale e risorse) ha drasticamente diminuito l’impegno sia dei docenti che del personale esterno (proveniente soprattutto dalle ASL), che supportava un tale lavoro.
Inoltre, come ha sottolineato nell’introduzione Teresa Modaffferi (portavoce dei Cobas scuola Catania) la tendenza a ‘medicalizzare’ tutte le situazioni di disagio rende sempre più complicato l’intervento didattico, nella maggioranza dei casi, sufficiente a risolvere i problemi.
Nino De Cristofaro (esecutivo nazionale Cobas) ha preliminarmente ricordato come l’impegno della scuola sull’educazione alla salute nasce negli anni ’80 in seguito alle sollecitazione del Consiglio di Europa in un quadro nel quale salute non era intesa solo come assenza di patologie, ma ricerca, insieme, di benessere fisico e psichico.
Si è, quindi, soffermato sul lavoro specifico che gli insegnanti possono svolgere in tale prospettiva. Il relatore ha innanzitutto analizzato il contesto nel quale si colloca, oggi, la funzione docente. Un ‘mestiere’ che gode di un sempre minore riconoscimento sociale e che è particolarmente usurante.
Paradossalmente, alla minore autorevolezza genitoriale corrisponde una richiesta sempre più ampia nei confronti della scuola perché faccia fronte a tutti i problemi connessi alla crescita dei ragazzi.
Peraltro, in una contesto lavorativo (classi pollaio, spazi poco agibili) che rende più difficile garantire il benessere psico-fisico. Educare alla salute non deve, però, diventare ‘un di più’ da aggiungere al normale lavoro curricolare, ma deve essere il frutto di una rinnovata attenzione allo sviluppo dei processi didattico-educativi.
In questo senso, è decisivo che i docenti si sentano formatori in formazione e, compatibilmente con tempi e luoghi di lavoro, sappiano togliere allo stare in classe ‘le tonalità’ di grigio, essendo capaci di stimolare fra gli allievi solidarietà, creatività e cooperazione.
Luciano Nigro (presidente della LILA e docente dell’Università di Catania) ha richiamato l’attenzione dei presenti sull’importanza della prevenzione che, se sviluppata correttamente, garantisce, nel contempo, il diritto alla salute e un significativo risparmio (data la conseguente riduzione dei ‘casi’ da curare) per la collettività.
Si è inoltre soffermato sull’importanza di una corretta informazione, capace di rimettere in discussione luoghi comuni e pregiudizi. Corretta informazione che, per esempio, rispetto all’AIDS ha permesso – individuando i comportamenti a rischio – di ridurre sensibilmente (come dimostrano i dati internazionali e italiani) la diffusione dell’infezione.
Ricordando che gli interventi di educazione alla salute sono iniziati principalmente sul tema delle dipendenze, il relatore ha esaminato le caratteristiche delle diverse sostanze (legali e illegali) differenziandone l’uso dall’ abuso e sottolineando la centralità del rapporto consumatore-sostanza.
Ha quindi messo in evidenza il momento in cui si passa dal ‘controllo’ delle droghe alla dipendenza da esse, cioè alla condizione per cui una persona avverte un bisogno irresistibile di assumere una sostanza specifica su cui perde ogni possibilità di controllo.
Infine, si è soffermato sulle nuove dipendenze (internet, cellulari, gioco …) che generano comportamenti a carattere persistente e compulsivo che occupano in maniera totalizzante la vita delle persone. Ecco perchè è importante che tali comportamenti restino semplici attività ludiche, ricreative, sociali e relazionali lecite e non diventino esperienze sostitutive e compensatorie di bisogni personali non soddisfatti.
Erica Motta (LSS E. Boggio Lera) ha preliminarmente affermato che i ragazzi chiedono, innanzitutto, di essere ascoltati e, perché ciò possa avvenire correttamente, occorre formare gli insegnanti, che rimangono ovviamente docenti, e che perciò vanno supportati da personale specializzato.
Purtroppo, ha sottolineato la relatrice, il ministero dell’Istruzione, procede in direzione opposta. Infatti, copiando, peraltro parzialmente, i modelli anglosassoni, oggi con i BES (bisogni educativi speciali) si tende a fare di ogni alunno un caso particolare, ma, poiché in classi sovraffollate è impossibile un lavoro individualizzato, il rischio è quello di sollecitare aspettative che non potranno essere mai realizzate.
Invertire questa logica, puntando sul personale già formato (docenti di sostegno) e sui contributi esterni è l’unica risposta in grado di migliorare i processi formativi ed educativi.
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