Hanno sfilato il 14 ottobre, si sono arrampicati su una gru a Brescia, protesteranno la settimana prossima a Torino contro la sanatoria-truffa: sono oltre 100.000 i casi in tutta Italia di lavoratori stranieri che hanno un contratto regolare, ma non possono ottenere il permesso di soggiorno perché hanno ricevuto un precedente decreto di espulsione. La truffa deriva dalla circolare del Ministro dell’Interno del 17 marzo 2010 che interpreta la legge (n. 102 del 2009) in termini restrittivi.
Ripercorriamo i fatti riprendendo la sintesi presente su Immigrazione.aduc: “La legge 102 del 2009 consente la regolarizzazione di colf e badanti clandestini: il datore di lavoro dichiara l’esistenza del rapporto, lo regolarizza e lo straniero ottiene un permesso di soggiorno. Fra i requisiti previsti dal decreto, il non aver subito condanne penali, anche non definitive, per i reati per i quali e’ previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo (artt. 380 e 381 c.p.p.).
Cosa vuol dire? Che non bisogna avere subito condanne penali per i reati elencati in quegli articoli o per i reati la cui pena edittale non sia superiore a certi limiti? La legge non lo dice, i datori di lavoro e gli stranieri non vi prestano molta attenzione, e le domande vengono presentate.
E’ solo a marzo che, benché i dubbi sull’interpretazione della norma fossero stati avanzati sin da subito, il Ministero dell’Interno si “sveglia” e chiarisce con la Circolare n. 1843 del 17 marzo 2010 che interpreterà la legge negando la regolarizzazione anche agli stranieri che dopo aver ricevuto un foglio di via non abbiano ottemperato all’ordine di allontanamento del Questore e siano stati fermati ad un successivo controllo (art. 14, comma 5ter, del testo Unico sull’immigrazione d. lgs. 286 del 1998).
Un chiarimento tardivo, che avrebbe avuto senso se fatto all’indomani dell’entrata in vigore della legge, prima ancora della scadenza del termine per presentare la domanda. Ormai la frittata e’ fatta e la legge sulle regolarizzazioni viene soprannominata “sanatoria truffa”, perché tanti stranieri hanno partecipato alla regolarizzazione e si sono poi visti respingere la domanda, con tanto di espulsione.
Passano i mesi, puntuali iniziano ad arrivare i primi dinieghi sulla base della circolare, e gli stranieri iniziano a fare ricorso al Tar. E quella che era stata soprannominata una sanatoria truffa diventa la “sanatoria beffa”. Beffa perche’ i vari Tar italiani iniziano a decidere in maniera diversa”
Fra l’altro, proprio sul sito del Viminale in data 29 settembre 2009 si poteva leggere la rassicurazione data a un datore di lavoro: «Si può fare la richiesta per un lavoratore che ha avuto un decreto di espulsione però non lo ha rispettato ed è rimasto in Italia anche se successivamente è stato trovato di nuovo dalle forze dell’ordine e condannato». Un via libera che aveva rassicurato molti immigrati, inducendoli a presentare la domanda di regolarizzazione pagando, loro o i datori di lavoro, la bellezza di 500 euro a testa. In tutto i soldi incassati dallo Stato grazie alla sanatoria ammontano a 147 milioni di euro. In un mese, dal 1 al 30 settembre del 2009, sono state presentate quasi 300 mila domande (294.742)”.
Domande, il cui costo di 500 euro doveva essere a carico dei datori di lavoro, ma “sono molte le cronache e le testimonianze che parlano invece di lavoratori e lavoratrici che hanno pagato di tasca propria questi famosi 500 Euro. Anzi in molti hanno dovuto comprarsi il contratto di lavoro con prezzi che vanno dai 2000 ai 9000 Euro. Persone disperate, che vogliono uscire dalla clandestinità imposta dalla Bossi-Fini e dal Pacchetto sicurezza. Sono state ingannate e truffate. Inoltre, all’inizio della fase di regolarizzazione nel mese di settembre 2009, il ministero degli interni aveva invitato in modo generico anche “chi era stato espulso” a presentare le domande di regolarizzazione”.
Si attende adesso, dopo i riflettori accesi da Annozero (11/11/2010) sui migranti arrampicati sulla gru di Brescia, una azione concreta istituzionale volta a favore di tutti coloro che si sono visti negare il permesso di soggiorno.
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