L’assessore Russo continua la sua riforma del sistema sanitario siciliano attraverso la rimodulazione della rete ospedaliera. I principi che enuncia sono pienamente condivisibili, ma aspettiamo la realizzazione concreta per valutarne l’efficacia.
Sono già trascorsi 15 anni da quando è stata avviata la precedente riforma sanitaria che ha visto l’estinguersi di circa 60 UU.SS.LL. per dare vita a 9 aziende sanitarie territoriali e a 17 aziende ospedaliere.
Ma neanche questa seconda riforma ha raggiunto i suoi obiettivi, per almeno due motivi. Le 9 aziende sanitarie infatti non sono state messe in grado di riorganizzare l’offerta sanitaria a dimensione provinciale e soprattutto in chiave aziendale, mantenendo spesso modalità operative e gestionali poco efficienti.
Le aziende ospedaliere, da parte loro, non sono state capaci di coordinarsi né tra di loro né con l’offerta ospedaliera delle aziende territoriali, lasciando persistere ad esempio duplicazioni utili solo a mantenere lo status quo.
Cosa ci garantisce oggi che questa nuova rimodulazione risponda a giusti interessi? Le proteste che ogni giorno leggiamo sui giornali da parte di comitati a difesa di piccoli ospedali, con bacini di utenza ristretti, sono solo dettate da interessi localistici o rivendicano giuste esigenze?
Vero è che sono spesso inadeguati a far fronte a vere emergenze – salvo casi eccezionali di vere eccellenze – , così come è vero che le difese tendono, da parte degli ineteressati, anche a voler garantire la continuazione dell’attività lavorativa nel proprio comune di residenza.
Ma è altrettanto vero che non si può avere l’offerta ospedaliera, capace di rispondere a ogni tipo di emergenza e complessità, concentrata solo nel capoluogo.
A rendere più complessa la situazione è la miope politica dei decenni precedenti relativamente alla progettazione e costruzione dei nuovi ospedali, per niente funzionali alla rimodulazione. Ne sono un esempio gli ospedali di Acireale, Giarre e Lentini (nuovi perché resi operativi di recente, ma progettati e con avvio dei lavori risalenti a diversi decenni addietro), senza parlare del costruendo Ospedale San Marco, a sud di Catania (che dovrebbe sostituire il Vittorio Emanuele), progettato negli anni ’80, su terreni di Ciancio.
Avrebbe, invece, avuto più senso un nuovo ospedale nella zona di Bronte, dove i lavori di ristrutturazione del vecchio ospedale (comunque inadeguato per la collocazione all’interno del centro cittadino e per la tipologia strutturale) sembrano non avere mai fine. Ma allo stato dei fatti, con tre grandi poli cittadini (Garibaldi, Policlinico, Cannizzaro) e 3 medio-grandi ospedali nella provincia (Caltagirone, Acireale, Giarre) è veramente necessario spendere denaro pubblico per un altro ospedale nel capoluogo cittadino?
Ci si ciede infine se è legittimo voler tagliare il pubblico senza toccare gli interessi della sanità privata. E’ sufficiente dire che i finanziamenti destinati ai privati non saranno superiori a quelli del 2009? Non occorre anche nel privato accreditato rivedere l’offerta ospedaliera e fare in modo che si coordini e integri con quella pubblica?
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