Tratto da Pietro Orsatti Left-Avvenimenti Settembre 2009
Quale lettura – Film e Fiction – propongono del fenomeno mafioso?
Roberto Scarpinato e Antonio Ingroia della procura di Palermo e Raffaele Marino di quella di Torre Annunziata hanno lanciato un’ennesima allarmata riflessione su questo tema. D’altronde, se è vero che un’opera d’arte non si giudica dal ‘progetto educativo’, non è, però, possibile ignorare la significativa incidenza di tali prodotti rispetto alla formazione del senso comune.
Secondo Scarpinato “oggi ci troviamo davanti a un progetto di produzione televisiva basato sull’intrattenimento, sulla divagazione, sulla rassegnazione e la fuga. E per quanto riguarda, ad esempio, le ultime fiction di questi anni sui boss mafiosi ci troviamo davanti a una sorta di mistificazione culturale, che ignora la realtà emersa invece dagli ultimi 15 anni di processi”.
Parole forti ulteriormente sottolineate dal riferimento positivo alla grande lezione del cinema neorealista, ma anche a pellicole successive (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, La classe operaia va in paradiso, Le mani sulla città).
In particolare, il magistrato trova insopportabile che il fenomeno mafioso venga tuttora presentato come frutto delle gesta di ‘eroi negativi’, di uomini con coppola e lupara, che non hanno legami organici con il resto della società, mentre la realtà dimostra che ‘il metodo mafioso’ non è espressione delle classi popolari, ma di quelle dirigenti.
‘Io non so quali siano le ragioni di questa mancanza di memoria, di rimozione – spiega -. Potrebbe essere ignoranza ma alcuni sceneggiatori di una fiction o di un film hanno tutti gli strumenti culturali per non esserlo. È la realtà che smonta le fiction. Non dimentichiamoci che prima di Riina il capo della mafia a Corleone era il professore Navarra, che a capo di Palermo c’era Michele Greco, che molti dei più importanti capi della mafia erano medici, avvocati, e così via. Questo è un fatto. Qui parliamo di capi organici della mafia, che è cosa diversa da colletti bianchi collusi. Qui c’è un pezzo di nomenclatura del potere che dirige un’organizzazione mafiosa, che è dentro un blocco sociale col quale chiunque in Italia, dall’Unità a oggi, ha dovuto fare i conti. Perché nessuno può andare avanti senza andare a patti con la borghesia mafiosa’.
Ingroia si è interrogato sul rischio che certe pellicole possano, addirittura, esaltare il fascino sinistro delle organizzazioni mafiose e avere un impatto negativo sul lavoro di chi le combatte. “È accaduto, accade e accadrà che certe rappresentazioni finiscano per propagare, spesso al di là delle migliori intenzioni, il fascino sinistro dell’eroe del male’ e fa l’esempio della fiction Il capo dei capi (su Riina), che veicola “una certa idea dell’immutabilità e dell’eternità della mafia stessa, difficile da vincere in una terra incline al fatalismo come la Sicilia”.
Marino si è chiesto perché il serial La nuova squadra , che nelle precedenti stagioni “era fortemente agganciato alla realtà di Napoli che non è mai stata tutta bianca, ma nemmeno tutta nera”, adesso sia stato ridotto a “un campionario di luoghi comuni e incongruenza che difficilmente si poteva riuscire a concentrare in un’opera che, seppur di fantasia, ha (o per meglio dire aveva) la pretesa di ritrarre un ambiente e un territorio complesso come la Napoli odierna”.
Luoghi comuni, stereotipi, semplificazioni: vista l’autorevolezza delle denunce, è auspicabile che queste riflessioni siano oggetto di un dibattito approfondito.
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