Facciamo nostra la rifessone di Antonio Fisichella sui recenti fatti di Ognina e sulle dichiarazioni del sindaco Trantino.
Catania è incredula, piegata su se stessa per la morte di Santo Re, giovane lavoratore che lascia la moglie e la figlia di pochi mesi. Una morte crudele e assurda, avvenuta ad Ognina, causata da un uomo dello Zimbabwe, posteggiatore abusivo, già noto alle forze di polizia per episodi violenti.
In momenti come questi – quando una intera comunità si interroga su se stessa, sulla propria identità e sul proprio destino – si misura la capacità di un sindaco di trovare le parole giuste e i gesti adeguati per rivolgersi all’anima più profonda di una città, per aiutarla a ritrovare la parte migliore di se stessa.
Trantino ha dimostrato di non esserne capace. Di non essere un leader ma uno dei tanti imprenditori della paura che in questi anni hanno calcato la scena politica, speculando sul senso di insicurezza dei cittadini e sulla paura degli extracomunitari. Così si fa riprendere da una testata on line e pronuncia parole gravissime, verso gli extra comunitarii: “Certi soggetti devono meritare la nostra generosità. Se ne devono andare”.
Un distillato di odio e rancore, il prodotto di una subcultura becera: quella del capro espiatorio, e di una concezione che affonda le sue radici nel suprematismo bianco, alla Trump. E dire che era stato lo stesso Trantino, poche ore prima, ad affermare che “non era il momento di speculazioni politiche e di sciacallaggi”. Si vede che ci ha ripensato e che ha ritenuto che il tempo fosse arrivato, sia per le speculazioni che per lo sciacallaggio.
Bene ha fatto l’arcivescovo Renna a fare sentire, in maniera limpida e forte, la voce della chiesa catanese. Rivolgendosi con gli accenti giusti alla comunità tutta, di credenti e non. Parole opposte a quelle del primo cittadino che vanno ricordate: “Il fatto che l’aggressore sia uno straniero non deve in alcun modo alimentare odio o diffidenza verso chi è diverso da noi o si trova nel bisogno”.
Pochi mesi fa, nel gennaio 2025, un ragazzo di 20 anni, Giuseppe Francesco Castiglione è stato ucciso da un suo coetaneo, Calogero Michael Romano, con cinque colpi di pistola, nel cuore di Piazza Palestro, al Fortino.
Una tragica istantanea del degrado in cui versa la città: l’assassino aveva avuto un figlio da una una ragazzina minorenne. Quest’ultima aveva recentemente stretto una relazione con il ragazzo ucciso, anche lui già padre di un bambino. Allora non ci fu né una dichiarazione, né un video del sindaco. Quella morte, secondo i criteri dell’attempato sindaco youtuber, non meritava neanche una comparsata.
Lì, al Fortino, non c’erano immigrati da cacciare, o emergenze securitarie da invocare, C’era semmai da affrontare le radici su cui affondava quella tragedia: un quartiere privo di servizi sociali, in una città ultima nelle classifiche nazionali di tempo pieno nelle scuole elementari (9%) e negli asili nido (5%). Una Catania con numeri record di criminalità minorile e per percentuali di baby mamme.
Il Fortino, un luogo periferico per gente marginale in cui qualsiasi cosa accada non infrange la vetrina della Catania da bere, quella del lungomare, del porto dato in pasto ai privati, dei grattacieli costruiti contro ogni equilibrio urbanistico, né quella tutta B&B e street food.
Nuovo, povero e immaginario eldorado di una città che, nonostante tutto, nonostante un sindaco che gioca con il fuoco, ancora si tiene in piedi. E che per ritrovare un senso di sé necessita delle parole di un prete venuto dalla Puglia.
Ottimo articolo
Lucido, sintetico e come sempre centrato sull’essenza in una città che, sotto certi aspetti, appare di una “povertà civile” incontrollata.
Pienamente d’accordo egregio signore!