Un intervento sbagliato per il quale si potrebbe configurare anche un danno erariale. E’ quello compiuto dall’Amministrazione Comunale in via Santa Barbara, nel tratto tra via Garibaldi e via Pozzo Mulino, là dove è nascosto un piccolo tesoro, abbandonato in uno stato di degrado che può soltanto peggiorare.
Si tratta di una tricora, luogo di culto dei primi secoli dell’era cristiana, costituito da un locale centrale con tre absidi, particolare da cui nasce la denominazione. Datata tra il secondo e il quarto secolo, realizzata in parte in pietra lavica e in parte in mattoni, è una delle testimonianze della Catania dei primi secoli del cristianesimo. Ed ha, quindi, un valore archeologico e storico.
Siamo nel sottosuolo della città, il monumento è minacciato dall’umidità, parzialmente inaccessibile perché incuneato tra le fondamenta di un palazzo ottocentesco e per il resto ricoperto da una pavimentazione che poggia su un solaio di calcestruzzo armato con il ferro di armatura che presenta evidenti segni di corrosione. Problema noto, tanto che – dal 2017 – il tratto di strada è stato chiuso al traffico veicolare.
Il problema più urgente è quello della sicurezza per le persone che abitano in quel tratto di strada o che da lì transitano, ragion per cui l’emergenza strutturale va risolta comunque, anche se non ci fossero tesori archeologici nascosti, che – nella nostra città – siamo abituati a vedere sottovalutati o considerati quasi con fastidio.
Nel dicembre del 2023 vengono decisi “lavori per il rifacimento del manto stradale del tratto pedonale di via Santa Barbara”, poi effettuati nel corso del 2024, per un importo di 114mila euro.
Senza entrare nel merito della ditta prescelta con affidamento diretto e della qualità dei lavori realizzati, che supponiamo ottimali, la domanda è se il semplice rifacimento di una pavimentazione sia la risposta corretta ad un serio problema strutturale. E la risposta, naturalmente, è no.
Quanto alla possibilità di cogliere l’occasione per rendere accessibie un reperto archeologico pregevole, evidentemente non è stato ritenuto che il gioco valesse la candela. Sarà che non ci sono i soldi per i lavori e per la successiva sorveglianza, sarà che abbiamo già tante “pietre” vecchie che i nostri amministratori ritengono gravoso tutelare, fatto sta che la tricora resta sotto terra e la sua presenza è rivelata solo da un disegno delle absidi con sanpietrini colorati incastonati nella nuova pavimentazione,
Eppure un progetto di sistemazione dell’area c’è già. Una proposta di riqualificazione avanzata da Legambiente Sicilia e Legambiente Catania, in un’ottica che potremmo definire di sistema e che vuole costituire anche un modello di approccio alle criticità del centro storico.
Non solo il superamento dell’emergenza strutturale, non solo la valorizzazione di un bene culturale di pregio, ma anche l’implementazione del verde urbano (in modo proporzionato alle dimensioni dell’area) che, insieme alla pedonalizzazione e al conseguente abbattimento dei gas di scarico, contribuisca a ridurre l’effetto “isola di calore” che caratterizza la maggior parte delle aree del centro urbano.
Un progetto ambizioso, quindi, non per le dimensioni dell’intervento e della relativa spesa, ma per la qualità e completezza dell’approccio, che si fonda – inoltre – su un metodo partecipativo in cui è prevista la “complementarietà tra organismi amministrativi, tecnici, residenti, associazioni con una consolidata tradizione di impegno”, come leggiamo nella relazione che apre il Dossier preparato da Legambiente.
Un dossier di cui fanno parte anche alcuni documenti relativi al ritrovamento della tricora, avvenuto nel marzo del 1955 durante lavori di sistemazione delle fognature.
Si tratta di un paio di relazioni e di un telegramma che, tra il marzo e il maggio 1955, trasmettono al Soprintendente alle antichità, che aveva allora sede a Siracusa, le notizie relative al ritrovamento sia del monumento, con successiva chiusura dello scavo, sia di una statua marmorea acefala, genuflessa e con i polsi legati dietro la schiena, poi trasportata al Castello Ursino. La figura, identificata inizialmente come quella di un martire, fu poi – in base alla “veste barbarica” – ritenuta un dace prigioniero.
Pur essendo, quella della tricora, una scoperta interessante, è improbabile che l’archeologo Giovanni Rizza ne parlasse – come viene riferito nel Dossier – come del “ritrovamento più importante della Catania dei primi anni del cristianesimo”. A metà degli anni Cinquanta, infatti, vi furono a Catania altri ritrovamenti, poi purtroppo tombati, attribuibili allo stesso periodo storico ma di maggiore estensione ed importanza, nei pressi di via Dottor Consoli.
E’ vero, invece, che la tricora di via Santa Barbara venne inserita “nell’elenco delle Emergenze della zona A all’interno della Perimetrazione del Parco Archeologico Greco Romano di Catania”.
Eppure, nonostante ai Parchi sia affidata la fruizione e valorizzazione dei beni che ricadono nel proprio perimetro, paradossalmente il Parco non è stato coinvolto nelle decisioni prese dall’Amministrazione sugli interventi da attuare. Un po’ come era accaduto nel caso della Purità, con il coinvolgimento della Soprintendenza e non del Parco
Con una lettera inviata agli uffici competenti del Comune, al Genio Civile, alla Soprintendenza, l’Ente Parco contestò il proprio mancato coinvolgimento. Ricordando che “interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sono consentiti solo sulla base di specifici progetti a cura del Parco stesso”, faceva propria la proposta avanzata da Legambiente, che non viene tuttavia nominata.
Dopo aver ribadito che l’intervento effettuato dall’Amministrazione non risolve le criticità di natura strutturale, il direttore del Parco lamenta – infatti – che si perpetui “l’occlusione alla vista dei resti archeologici, e dunque la loro non fruibilità ai fini scientifici, sociali, e turistici” e propone che venga posto in essere “un progetto di riqualificazione del tratto pedonale di via Santa Barbara tale da prevedere, contestualmente, la salvaguardia e la valorizzazione delle emergenze archeologiche e al contempo l’implementazione di una zona a verde e la totale chiusura dell’area al traffico veicolare”. Solo così il monumento potrà diventare “parte integrante del percorso monumentale della città, e meta di attrazione turistico-culturale”.
I lavori che il direttore chiedeva di sospendere, per effettuare un sopralluogo congiunto in vista della “validazione” del progetto di cui sopra, furono portati a termine sebbene fosse già chiara la loro inadeguatezza. Una spesa, in conclusione, non giustificabile, su cui la Corte dei Conti potrebbe avere qualcosa da ridire.