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“Il ballo del mattone”, la pianificazione a Catania non s’ha da fare

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Chi ha detto di amare Catania e di volersi impegnare per il suo sviluppo, per lo più ha inteso questo sviluppo come crescita edilizia perché l’edilizia è stata considerata, ed è considerata tutt’oggi, non sempre a ragione, il settore trainante dell’economia.

Ne “Il ballo del mattone”, edito da Lunaria, Maurizio Palermo racconta le vicende urbanistiche cittadine. Lo fa da esperto, con un linguaggio semplice ma non privo di qualità letteraria, racconta fatti, li documenta con riferimenti legislativi, fonti storiche, articoli di cronaca, immagini e testimonianze personali. E correda il tutto con mappe di grande interesse anche per gli specialisti. Ricostruisce la storia dei piani regolatori avviati ma non completati a causa dell’opposizione di un ceto imprenditoriale e proprietario, che ha nei consigli comunali e nelle Amministrazioni i propri referenti politici, e considera inaccettabile ogni vincolo alle proprie speculazioni. Emerge così un filo rosso che attraversa l’intera vicenda: la diffidenza verso ogni forma di pianificazione, considerata come limitante rispetto agli interessi privati. E pazienza se questo cozza con l’interesse pubblico.

Unica parziale soluzione di continuità, il Piano approvato nel 1969, che porta il nome dell’architetto Luigi Piccinato, che – dopo aver lavorato alla sua elaborazione – si rifiutò di firmarlo perché riteneva che i “ritocchi” ad esso apportati dal’Ufficio tecnico, su pressione di professionisti e ceti dirigenti, lo avessero snaturato.

Approvato dal Consiglio comunale e dalla Regione, firmato dal dirigente dell’Ufficio Tecnico e non dal noto urbanista, questo Piano Regolatore è tutt’ora vigente, sebbene continuamente aggirato e stravolto: fatti i debiti ritocchi, fu accettato perché, sebbene chiudesse alla speculazione il centro storico, permetteva una ‘interessante’ espansione verso l’area collinare, che di fatto avvenne.

L’altro grande tentativo di riqualificare la città dal punto di vista urbanistico e ambientale, recuperando le sue aree più significative e colmando il deficit di spazi verdi, viene fatto a metà degli anni Novanta dalla Giunta Bianco, primo sindaco eletto direttamente dai cittadini, che incarica della consulenza scientifica e del coordinamento di un nuovo Piano Pier Luigi Cervellati, urbanista noto per i suoi studi e progetti sulla città storica.

La redazione di un nuovo Piano è imposta da una legge regionale che stabilisce anche scadenze stringenti e quasi impossibili da rispettare. A questa corsa esaltante contro il tempo, che coinvolge professionisti di qualità già presenti tra le file dei dipendenti comunali ma anche giovani neolaureati disponibili a collaborare, partecipa in prima persona – come dirigente dell’Ufficio del Piano – proprio l’autore del nostro testo. Sembra difficile aspettarsi distacco e obiettività da chi ha vissuto un’esperienza così coinvolgente, ma il racconto di Palermo procede senza sbavature anche se la delusione cocente si intravede perché si tratta di una grande occasione mancata per la città.

Anche in questa occasione, infatti, le potenziali trasformazioni proposte nel nuovo Piano, sulla base di una visione diversa della città, vengono via via cancellate dalle pretese dei proprietari di aree destinate a servizi pubblici, che non vogliono rinunciare alle proprie possibili speculazioni e rivendicano un trattamento ‘più equo’, finendo per annullare le scelte qualificanti del Piano. Chiedono il riconoscimento di una ‘perequazione urbanistica’ che permetta a tutti i proprietari di edificare nelle proprie aree, e senza oneri di urbanizzazione, purché cedano una parte del terreno al Comune (che oltre a dover rinunciare alle vaste aree da adibire a parco, non avrà più i soldi per le opere di urbanizzazione).

L’idea di fondo del Piano viene stravolta senza che Cervellati venga formalmente esonerato dall’incarico, tanto che l’urbanista sentirà l’esigenza di rendere pubblico il ‘divorzio’ con un intervento su La Sicilia. E comunque il Piano verrà alla fine accantonato, anche perché cambia nel frattempo il quadro politico.

Maurizio Palermo, messo al margine, aveva già chiesto di passare ad altro incarico; quella parte della città che si era svegliata e attivata davanti alla prospettiva di un cambiamento epocale, torna al suo stato di passività. Anch’essa, come Palermo, “ci aveva creduto”.

Altri Piani vengono messi in cantiere dalle successive Amministrazioni senza essere mai portati a compimento. Una scelta più che una fatalità, considerato che proprio la vetustà del Piano vigente (Piccinato), ormai inadeguato rispetto alla città attuale e con vincoli di esproprio decaduti, giustifica la richiesta di continui interventi in variante, votati da Consigli compiacenti e talvolta autorizzati da semplici ‘permessi per costruire’ rilasciati con disinvoltura da dirigenti dei competenti uffici comunali. E abbandona la città al disordine a all’arbitrio.

Ormai la previsione di crescita della città, che aveva permesso la rivalutazione fondiaria di molte aree nella prospettiva di una espansione, non regge più, la popolazione diminuisce e aumenta il numero delle abitazioni invendute o vuote.

Il centro storico torna ad essere interessante da un punto di vista speculativo e si tenta di scalfire il principio che esso vada tutelato nella sua interezza proponendo demolizioni di singoli fabbricati storici da sostituire con edifici di uguale volume.

A questo punto la ricostruzione operata da Palermo nel suo saggio entra nel vivo dell’attualità, vengono citate e analizzate le recenti leggi regionali, si affronta la questione dello Studio di dettaglio delle tipologie edilizie, che – in caso di tipologie ‘minori’ – consente in centro storico interventi di demolizione e ricostruzione, si cita la recentissima (marzo 22) approvazione dello ‘Studio generale del centro storico’ che autorizza la demolizione degli edifici in grave stato di degrado.

Un degrado che può anche essere millantato, come nel caso dell’edificio di via Di Prima recentemente demolito, definito cadente per poterne effettuare la demolizione, ma che era in buono stato di conservazione come dimostra la foto recuperata da Argo.

C’è di sicuro San Berillo nel mirino delle ruspe che minacciano il centro storico, ma non solo. Palermo cita altri esempi attualissimi, in piazza Duca di Genova e in via Vecchio Bastione.

Così come cita un’altra pratica recente degli uffici comunali, rilasciare permessi per costruire palazzine residenziali o supermercati in aree destinate dal Piano Regolatore a servizi pubblici (scuole, verde pubblico), come nel caso dell’Eurospin di via Sabato Martelli Castaldi.

Davanti al permanente atteggiamento predatorio nei confronti dei beni comuni, davanti al fatto che – come scrive Cervellati nella sua introduzione – restano solo “piccoli gruppi che cercano di difendere invano il loro territorio, la loro città”, si rischia lo scoraggiamento, la resa.

Non ci sembra che sia questo lo spirito dell’autore, che – nelle conclusioni – prospetta una “correzione di rotta” che parta da una “chiara idea di città, con una visione di futuro che vada oltre gli interessi immediati”. Perché una città diversa è possibile, anche se per realizzarla servono “forte determinazione e maniche rimboccate. Cose difficili, ma non impossibili”.

La presentazione del libro avverrà il giorno 2 dicembre 2022, alle ore 17:00, presso Zo Centro Culture Contemporanee, in piazzale Asia 6, Catania

Interverranno, per discuterne insieme all’autore, il magistrato Sebastiano Ardita e il saggista Antonio Fisichella.

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