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Il commercio mondiale delle armi non conosce crisi

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“Sono sempre più convinto che oggi il mondo è prigioniero del complesso militare industriale come l’aveva definito Eisenhower, presidente degli USA fra il 1953 e il 1961. E sono anche sempre più persuaso che le armi nella storia umana, ma soprattutto oggi, hanno protetto principalmente i detentori del potere e della ricchezza”, così Alex Zanotelli nella prefazione a Crisi Globale e Affari di Piombo, il libro di Futura D’Aprile su politica e industrie italiane nel mercato internazionale delle armi da guerra.

Libro di cui si è discusso, presente l’autrice, a Catania il 4 novembre, su iniziativa dei Cobas Scuola e del Comitato No Muos/NO Sigonella. Ha introdotto la discussione Gianni Piazza (Università di Catania), che ha sottolineato con preoccupazione come i continui richiami all’interesse nazionale siano serviti a creare un clima generale di preoccupazione e paura. Si tratta di un processo, consolidato nel corso degli anni, che, anche attraverso la costruzione “del nemico” (interno e/o esterno), è servito a giustificare, le politiche di guerra, quelle securitarie e sull’emigrazione. Un processo che ha investito anche scuola e università, sia dal punto di vista dei progetti educativi (l’alternanza scuola-lavoro svolta nelle strutture militari) che rispetto alla ricerca, soprattutto nelle facoltà scientifiche, sempre più integrata con le esigenze del complesso militare.

Antonio Mazzeo (docente e peace researcher) ha innanzitutto analizzato il manifesto prodotto dal Ministero della difesa in occasione del 4 novembre. La bandiera italiana “copre” uno spazio geografico che va dall’Atlantico al Mar Nero, dal Mare del Nord al continente africano. A sottolineare le tante missioni di guerra (ipocritamente definite umanitarie) in cui, in spregio alla Costituzione, è impegnato il nostro Paese. Ha anche ricordato la lettera inviata agli studenti con la quale Ministro dell’Istruzione e del merito! legge la prima guerra mondiale ricordando i morti italiani, tutti gli altri hanno evidentemente un valore minore, che “in nome di un ideale alto e nobile (l’unità di un popolo, la conclusione del Risorgimento), hanno sacrificato la propria vita”. Dimenticando, evidentemente, le parole di Papa Benedetto XV che definì il conflitto “inutile strage”. Mazzeo ha concluso ricordando il ruolo sempre più centrale assunto dall’Italia nella produzione e nell’esportazione delle armi, che alimentano i conflitti e la violazione dei diritti umani.

Futura D’Aprile (giornalista) ha esordito sottolineando il progressivo aumento delle spese militari in Italia (nel 2028 raggiungeranno il 2% del PIL), un aumento finalizzato anche a rafforzare le relazioni che lo Stato ritiene maggiormente rilevanti sul piano internazionale. In particolare, le vendite che avvengono direttamente fra i governi fanno sì che gli acquirenti non si limitino all’acquisto, ma abbiano bisogno di addestramento per il personale e del successivo ammodernamento delle stesse armi.

Va ricordato che la produzione italiana per la Difesa è destinata per il 70% al mercato estero. In effetti, la legge 185/90 prevede che “l’esportazione, l’importazione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia. Tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Ci si chiede quanto sia stata rispettata questa legge nel caso delle bombe prodotte in Italia, dalla tedesca Rwm, e vendute agli emiri sauditi per colpire lo Yemen. O nel caso dei 94 blindati Lince (valore 25 milioni di euro) venduti alla Russia, nonostante l’embargo, dal governo Renzi nel 2015. Per non parlare dei rapporti commerciali con Turchia, Pakistan, Egitto… Una riflessione particolare merita l’export verso la Libia. Il nostro Paese continua a equipaggiare e addestrare la guardia costiera, senza tenere conto “né della violazione dei diritti umani nel Paese nordafricano né delle continue violenze commesse nei confronti dei migranti”. A fine 2018 sono state consegnate a Tripoli dieci motovedette e due unità navali, mentre a maggio 2021 dalla motovedetta Ubari 600 (ceduta a Tripoli da Roma) è stato aperto il fuoco contro alcuni pescherecci italiani.

Quanto alle armi fornite all’Ucraina (la lista completa è stata secretata dal governo), secondo l’autrice, “la linea sottile che separa il sostegno e la cobelligeranza, ossia un reale coinvolgimento nella guerra, è di difficile definizione”.

A complicare ulteriormente la situazione il fatto che l’attuale Ministro della Difesa, Crosetto, è stato il presidente di AIAD (una importante associazione di categoria che raccoglie quasi 200 aziende nel settore della difesa e delle armi) e oggi, nel nuovo ruolo, dovrà decidere, anche, sugli appalti relativi alle varie forniture. In questo quadro, gioca un ruolo fondamentale la società Leonardo, il 30% del capitale è detenuto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, occupa quasi 50.000 dipendenti ed è attiva in 15 paesi.

D’Aprile si è soffermata, in particolare, sulla produzione e sulla commercializzazione dei droni. Questi ultimi sinora sono stati utilizzati per ricognizione e/o per segnalare gli spostamenti dei migranti e bloccarne i percorsi di fuga, oggi la Difesa ha deciso di armarli, con l’obiettivo “offensivo” di proteggere le truppe di terra o neutralizzare eventuali minacce.

Un’ulteriore conferma della prosecuzione in tutto il mondo della corsa al riarmo, coerentemente con la logica secondo la quale “il rafforzamento della potenza militare di un Paese corrisponde inequivocabilmente a una maggiore sicurezza interna”. L’ordine internazionale rimane, perciò, subordinato alla competizione militare che prevale sulle prospettive diplomatiche e di disarmo. “A pagarne le conseguenze, come sempre, saranno i civili”.

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