“Dall’analisi del fenomeno mafioso alla cittadinanza attiva” è il tema scelto per il ciclo, giunto alla nona edizione, di seminari interdisciplinari intitolati a Giambattista Scidà su ‘Territorio, migrazione, ambiente e mafie’, organizzato dal Dipartimento di Scienze Umanistiche in collaborazione con altri dipartimenti dell’Ateneo e un folto gruppo di associazioni.
Del primo incontro, “Criminalità minorile a Catania e il progetto ‘Liberi di scegliere’”, sono stati protagonisti il presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania, Roberto Di Bella, e don Giorgio De Checchi di Libera, associazione che da sempre collabora al progetto.
Nell’intervento del giudice ci sono due verbi ricorrenti che sottolineano quale debba essere l’approccio al problema della devianza minorile: sensibilizzare e coinvolgere. Ma chi? Tutte le istituzioni, le realtà del 3° settore, il volontariato, le diocesi, l’Università in modo da fare rete e creare una collaborazione efficace e incisiva: una risposta di sistema che deve coinvolgere tutti gli attori, sia del pubblico sia del privato. In un’ottica che privilegi il ‘noi’ e non il singolo.
Operativo a Catania dal settembre del 2020, in poco meno di due anni, dopo l’esperienza decennale a Reggio Calabria, dove ha creato il progetto ‘Liberi di scegliere’, Di Bella ha preso atto della gravità della situazione catanese con il 60% di residenti privi di diploma, il 22% di dispersione scolastica, il 7% di famiglie in condizioni di grave disagio.
A seguito di tale analisi ha siglato il 15 gennaio 2021 un Accordo tra pubbliche amministrazioni volto a prevenire la devianza minorile nell’area metropolitana, seguito, il 21 aprile dello stesso anno, dalla costituzione di un Osservatorio metropolitano di coordinamento e monitoraggio, definito dallo stesso presidente una “rivoluzione senza precedenti”.
Risale a una decina di giorni fa il Protocollo d’Intesa, firmato al liceo Spedalieri in data 11 febbraio 2022, che “intende intervenire su tale situazione arginando il fenomeno della dispersione scolastica nel suo complesso”.
Nei 10 articoli del Protocollo, i firmatari (Prefetto, Sindaco, Procuratore della Repubblica del Tribunale dei minori, Dirigente Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, Direttore dell’INPS) convengono di operare ciascuno nei propri ambiti di competenza per fare rete nelle aree patologicamente degradate della città.
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La novità di questo protocollo è l’art.5 che recita così “il Pais (patto per l’inclusione sociale) che viene proposto per la sottoscrizione ai potenziali beneficiari della misura del Reddito di cittadinanza, preveda tra le condizioni indispensabili l’impegno del rispetto dell’obbligo di iscrizione e frequenza scolastica dei figli minori. Nel caso di mancato rispetto … gli operatori del Comune provvederanno a segnalarlo all’INPS affinchè si proceda sull’erogazione del R.d.c.”
Il fenomeno mafioso aggiunge Di Bella si deve aggredire con misure di carattere sociale: l’elevata dispersione scolastica e la conseguente povertà educativa alimentano la criminalità minorile. Catania vive tra ghetto e borghesia: è una città dal grande fervore culturale, ma che nello stesso tempo ha dei quartieri che vivono prevalentemente di spaccio o reati predatori. Sicuramente la politica è stata, nei decenni, poco lungimirante e distratta, adesso serve un deciso cambio di passo il cui inizio è segnato dalla mappatura dei quartieri più a rischio, ad opera dell’Osservatorio.
“Vogliamo organizzare un vero piano Marshall per la Città” dice Di Bella, ma occorrono anche politiche occupazionali che diano prospettive ai giovani e sostegno alle famiglie in difficoltà.
Occorre anche il personale per realizzare questa task force: il Comune di Catania ha messo a bando 60 posti per assistenti sociali, l’Asp ha deciso di assumere del personale per formare l’equipe multidisciplinare, referente unico e privilegiato per i tribunali.
Importante il contributo dell’Università attraverso la consulenza scientifica per tutti quegli operatori che lavorano sul campo direttamente con i ragazzi; ma anche quello delle diocesi del territorio, da parte delle quali Di Bella auspica una maggiore collaborazione, non solo per la disponibilità dei locali che possono fornire ai centri di aggregazione ma anche per portare avanti una vera rivoluzione delle coscienze e contrastare il fenomeno della fascinazione mafiosa.
Fondamentale il ruolo delle scuole, dove va introdotto il tempo pieno e dove i docenti possono parlare ai ragazzi di tutte le organizzazioni criminali presenti nel territorio, dai Santapaola ai Cappello ai Laudani agli Ercolano, in modo da far comprendere che quel sistema di vita può portare solo al carcere e alla morte.
Serve anche un maggiore controllo nelle aree più degradate attraverso la segnalazione, da parte dei vigili urbani, di comportamenti giovanili che, pur non avendo rilevanza penale, possono degenerare, a partire dai minori che impennano i motorini per strada a quelli che irridono al passaggio di carabinieri o guidano calessi in orari scolastici. “Non c’è bisogno di attività investigativa per verificare se un bambino non va a scuola”, osserva Di Bella.
Condivisione e passione per l’umano sono i due requisiti che don Giorgio De Checchi, presbitero della diocesi di Padova, individua nel progetto ‘Liberi di scegliere’.
Purtroppo anche nel Nord-est la mafia ha messo radici – ha detto – e ce lo ricordano lo scandalo del Mose o il processo di Eraclea (Veneto) nel corso del quale il pubblico ministero dichiarò che i casalesi erano stati chiamati dagli imprenditori che avevano bisogno di riscuotere crediti e di liquidità. Non si erano rivolti allo Stato ma alla criminalità.
‘Liberi di scegliere’ ci ha fatto scoprire – dice provocatoriamente don Giorgio – che abbiamo bisogno dei mafiosi per trovare una forma ‘efficace’ di collaborazione tra Nord e Sud mentre, a livello sociale, sono pochi i progetti condivisi tra aree diverse di un paese che si riconosca unito negli stessi valori.
Nelle sue parole ricorre il tema della “passione per l’umano” che bisogna possedere per spendere una parte del proprio tempo affinchè altri possano gustare la possibilità di avere alternative di vita. “Quando le persone del progetto ‘Liberi di scegliere’ si sentono trattate con umanità e rispetto” conclude “prima o poi aprono il loro cuore e mettono in discussione la cultura mafiosa che hanno ereditato”.