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San Berillo, non fiori ma opere di riqualificazione

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Una vera e propria liturgia funebre, con il trasporto a spalla di una bara, un corteo di persone vestite di nero che intonano canti e litanie mortuarie, l’affissione di manifesti funebri e l’accensione di lumini davanti ai portoni delle case.

I defunti di cui si piange la dipartita sono i quaranta edifici di San Berillo condannati a morte dallo studio di dettaglio con cui l’Urbanistica ha individuato le costruzioni che possono essere demolite e ricostruite senza alcun vincolo.

La rappresentazione è stata pensata e realizzata dagli attivisti di Officina Rebelde, un centro sociale che da più di dieci anni opera nel quartiere di San Berillo e che gestisce anche uno sportello di consulenza che riaprirà presto i battenti dopo la chisura imposta dalla pandemia.

Nella forma originale e provocatoria del finto funerale, Officina Rebelde ha voluto riportare all’attenzione un problema che riguarda non solo San Berillo, ma tutta la città.

Lasciare mano libera alla speculazione in un luogo del centro storico così caratterizzato dal punto di vista edilizio, significa stravolgere un intero tessuto urbanistico che andrebbe invece salvaguardato.

Se è vero, infatti, che molti edifici sono abbandonati e cadenti, interventi mirati alla manutenzione, al restauro, al risanamento conservativo permetterebbero di recuperare le singole unità edilizie mantenendo l’omogeneità del contesto.

Procedendo nella strada intrapresa, che lascia mano libera alla speculazione, si rischia di stravolgere l’identità di un quartiere, che potrebbe – con interventi mirati – essere recuperato e diventare un piccolo gioiello.

San Berillo può essere salvato solo se tutta la città si muoverà in sua difesa. L’iniziativa descritta in questo video, riproponendo la questione, va in questa direzione.

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