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Bonus sismico, un'occasione per ripensare Catania

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Una riflessione sulla nostra città, sulla cura che dovremmo averne per vivere meglio ma anche per non essere impreparati di fronte ad un possibile evento sismico. Una riflessione sollecitata dai bonus previsti in questa fase di ripresa post-pandemica, ma anche dalla amara constatazione che speculazione e assenza di regole prevalgono sulla necessità di realizzare i servizi di cui la città è carente.

L’intervento odierno, che La Sicilia non ha ritenuto di pubblicare, porta la firma di Maurizio Palermo, ingegnere, che ha diretto l’Ufficio Piano Regolatore dal 1993 al 1999 e la Protezione Civile comunale negli anni 2007/2008. E intende promuovere sulla questione un dibattito cittadino.

Ha ragione da vendere l’ex assessore Paolino Maniscalco quando, riguardo al sismabonus, su La Sicilia del 15 maggio scorso dice che “la città non è una somma di edifici, è un insieme di tante cose diverse (infrastrutture, reti…)”. E anche quando dice che i comuni dovrebbero mettere mano a programmi di ampio respiro per gli anni a venire. Certo che ha ragione!

Una città che funziona bene nel quotidiano funziona meglio anche in caso di sisma. In una città caotica e disorganizzata un terremoto, anche se non distruttivo, può provocare una catastrofe.

Si potrebbe obiettare: se tutti gli edifici fossero antisismici un terremoto, anche forte, non provocherebbe crolli. Ma è un obiettivo pressochè impossibile da raggiungere. Le zone più fragili sono quelle in cui predominano, spesso con elevatissime densità edilizie, condomìni molto alti costruiti negli anni Sessanta e Settanta, prima che Catania fosse dichiarata zona sismica, poco resistenti ai terremoti.

Sono zone fragili per la debolezza degli edifici, per le alte densità di popolazione e per la mancanza di spazi inedificati da usare come luoghi di raccolta: tre elementi che rischiano di produrre una miscela esplosiva.

Come tutti sappiamo, non è affatto facile che grossi condomìni decidano di affrontare, pur in presenza di un sismabonus che ridurrebbe al minimo le spese, lavori lunghi e complessi che possono comportare l’allontanamento dei residenti. Il sismabonus diventa appetibile se si trovano soluzioni tecniche per consolidare lasciando in casa gli abitanti.

Il Comune può fare qualcosa? Si. Gli esperti strutturisti, se coinvolti tramite convenzioni con Università, Ordini professionali e Genio Civile, possono approfondire gli studi di vulnerabilità fatti a Catania negli anni Novanta e predisporre un catalogo di tipologie di edifici che permetta di classificare i palazzi degli anni Sessanta-Settanta.

L’obiettivo sarebbe, per ciascuna tipologia, la definizione di interventi-tipo per il consolidamento da eseguire senza allontanare i residenti: un “prontuario” tecnico che renda più facile capire in anticipo (anche se in linea di massima) le opere necessarie e i relativi costi in relazione ai limiti di spesa imposti per il finanziamento.

È solo un esempio che non esaurisce l’argomento. Comunque, ragionare sulla sicurezza dei singoli palazzi non basta. Consolidare edifici non rende antisismica la città.

Ci illudiamo che rafforzare edifici e costruire il nuovo con criteri antisismici sia la strategia vincente. E nel frattempo tralasciamo di curare l’ordinato sviluppo della città che, abbandonate le espansioni per legge di mercato, continua a crescere aggrovigliandosi su se stessa senza regole. Il risultato è (se non lo è ancora, lo sarà ben presto) una informe marmellata di case che sarà sempre più difficile definire città e sempre meno sicura in caso di sisma.

Il legislatore non aiuta. Una legge regionale del 2010 consente di demolire e ricostruire incrementando la volumetria del 35%. Un bel regalo per la speculazione. Si consente l’incremento volumetrico, la deroga dalle norme urbanistiche e il dimezzamento degli oneri di urbanizzazione dovuti; non si chiede alcunchè per l’interesse pubblico (ad es. cessioni di parte delle aree, realizzazione di tratti di strada o pargheggi pubblici).

La legge, brutta e confusa, può diventare un disastro se il Comune ci mette del suo. Una interpretazione comunale fantasiosa consente, contro il buon senso e la legislazione vigente, di ricostruire il nuovo edificio anche su un’area diversa a molti metri di distanza e, cosa più grave, su aree destinate a servizi pubblici o strade. Come ulteriore atto di cortesia, si trascura di applicare la norma per cui chi realizza interventi in deroga deve pagare un contributo pari alla metà del maggior valore derivante dall’intervento.

Altro regalo alla speculazione: col pretesto dei vincoli espropriativi decaduti, a Catania si autorizzano nuovi supermercati in aree destinate ad uso pubblico, in presenza di leggi che non lo consentirebbero. L’Assessorato regionale al Territorio rinuncia ai suoi compiti di controllo e fornisce copertura con pareri compiacenti.

Con sotterfugi di questo genere viene sacrificata sull’altare della speculazione la possibilità di realizzare servizi o spazi verdi di cui la città ha bisogno, o tratti di strada capaci di razionalizzare la rete viaria (obiettivo importante sia per agevolare il traffico che per consentire facilità di movimento ai soccorsi in caso di sisma).

Le infrastrutture (strade, trasporti pubblici, reti idriche, elettriche, gas) sono il sistema nervoso della città; una corretta manutenzione e potenziamento dell’insieme possono fare la differenza dopo il terremoto, quando l’efficienza del sistema è determinante per l’organizzazione dei soccorsi. Inoltre, reti infrastrutturali che funzionano bene rendono anche più facile la vita quotidiana ai cittadini.

Parliamo di sicurezza sismica, ma il problema ha una portata più ampia. Una città governata con lungimiranza, individuando strategie e obiettivi e pianificando le azioni necessarie per il loro raggiungimento sarà, oltre che più sicura, anche più vivibile.

Non andrebbe dimenticato che la città è un bene di tutti, è la casa della collettività. Non può rimanere vittima del mercato immobiliare e dell’errato pregiudizio secondo cui costruire sempre di più significa sviluppo, benessere, occupazione. A Catania ci sono 150 mila abitazioni e 120 mila famiglie. Agevolare nuove costruzioni dovunque e comunque vuol dire alimentare sovrapproduzione, invenduto, crisi, disoccupazione, come avviene già da dieci anni con la bolla speculativa che ha fatto crollare il valore degli immobili.

Sono argomenti su cui mi sembra importante che si sviluppi un dibattito cittadino, possibilmente con la partecipazione dei soggetti istituzionalmente interessati.

2 Comments

  1. Articolo interessantissimo,dopo aver letto il quale la speranza è che i politici vorranno tenerlo in gran conto,e regolarssi in conseguenza per il da fare; la ragione,invece, a tutt’altre,pessimistiche induzioni conduce…
    Aggiungo che rimango curiosissimo di sapere perché mai -pur nell’ambito della sua propria legittima autonomia di decisioni- la SIcilia non ha ritenuto di pubblicare queste chiarissime parole dell’ing.Palermo.

  2. sì, “l’errato pregiudizio secondo cui costruire sempre di più significa sviluppo, benessere, occupazione” è dominante.
    Molti, inoltre, non sono interessati al rispetto delle norme urbanistiche, forse perchè non capiscono le conseguenze o perchè sono rassegnati all’illegalità.
    Cosa fare allora? Come si contrasta questa mentalità?

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