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Paternò, un mercato del contadino in una chiesa del Trecento

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Evidentemente, i membri della Commissione cultura dell’Assemblea regionale non si sono resi conto fino in fondo, delle ulteriori potenzialità che potrebbe avere un certo modo di intendere la valorizzazione dei beni culturali siciliani, altrimenti non si spiegherebbe perché abbiano bloccato (almeno provvisoriamente) il corso della cosiddetta ‘Carta di Catania’.

Se avessero preso in considerazione il progetto recentemente varato dal Comune di Paternò, certamente si sarebbero ricreduti e anzi avrebbero ampliato la sua portata non solo ai reperti archeologici conservati nei magazzini dei musei e delle Sovrintendenze, ma a tutti gli innumerevoli beni culturali di cui, anche dopo costosi lavori di restauro, non si sa che farne.

Ma andiamo per ordine.

Sulla collina che sta alle spalle dell’odierno abitato di Paternò e che domina la valle del Simeto, accanto al Castello normanno e all’antica chiesa madre di S. Maria dell’alto, preceduta da una scenografica scalinata, sorge la chiesa di S. Francesco alla collina, risalente alla metà del 1300 e ricostruita su una precedente chiesa di epoca normanna, dedicata a S. Giorgio.

Restaurata negli anni Ottanta del secolo scorso, avrebbe dovuto essere utilizzata come sale per conferenze. Ma in questi casi, l’uso del condizionale non è mai casuale, perché in effetti, dopo il restauro è stata utilizzata poco o niente.

Per sopperire a questa incapacità di un uso appropriato di un prezioso bene architettonico, la Giunta comunale di Paternò ha avuto un’alzata di ingegno e ha prodotto una delibera, la n. 95 del 26.2.2021, che i francesi definirebbero elegantemente un ‘pastiche’, ma che noi dovremmo qualificare con termini molto meno forbiti, se dovessimo usare il nostro pittoresco dialetto.

Detto in soldoni, hanno messo assieme capre e cavoli per destinare l’ex chiesa a ‘sala per degustazione di prodotti agroalimentari della valle del Simeto’, accedendo a fondi europei gestiti dai GAL (gruppi di azione locale), in questo caso il GAL Etna, destinati a finanziare iniziative di promozione turistica in modo da favorire la creazione di opportunità occupazionali nelle zone rurali.

A questo scopo hanno incaricato l’Ufficio comunale dei lavori pubblici di predisporre un progetto per lavori di manutenzione straordinaria della ex chiesa san Francesco, alla quale peraltro viene riconosciuta la natura di infrastruttura pubblica per manifestazioni culturali, lavori consistenti nel rifacimento degli intonaci, nella realizzazione dell’impianto di riscaldamento e dei servizi igienici.

Tra parentesi, per capire quanto questa Amministrazione abbia a cuore lo sviluppo turistico di Paternò, basta aprire il sito ufficiale del Comune, alla pagina ‘Guida turistica’, dove, dopo la frase (evidentemente ironica) “Ultima modifica 25 giugno 2018”, regna il vuoto assoluto.

Gli interventi attuati in Area GAL devono inoltre rientrare in un quadro complessivo di interventi diversi mirati a un progetto globale, ma di tutto ciò non c’è traccia nella delibera, così come non si preoccupa, almeno così sembra, di esplicitare se l’intervento ha una conformità urbanistica, trattandosi di un cambiamento di destinazione d’uso, almeno di fatto.

Senza dire, ancora, che non si fa riferimento ad un eventuale acquisizione del parere della Soprintendenza che, per i beni vincolati, ha titolo ad entrare anche nel merito della destinazione d’uso che deve essere compatibile con la dignità dell’edificio.

E perché mai la Sovrintendenza dovrebbe impedire di ospitare in una antica chiesa, sia pure ex, il mercato del contadino?

Anzi, se possiamo permetterci di aggiungere un’idea, si potrebbero utilizzare gli ampi spazi aperti circostanti per organizzare nelle sere d’estate, Covid permettendo, delle belle grigliate di ‘arrusti e mangia’: si raggiungerebbe il risultato, con l’intenso profumo che si sprigionerebbe, di ‘arrusbigghiari macari i morti’ del contiguo cimitero!

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