Frammenti di Medioevo alle falde dell’Etna

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Non sono molti i paesi etnei in cui, come accade andando a spasso per le strade di Randazzo, si possa inforcare una stretta viuzza sormontata da una serie ravvicinata di archi a sesto acuto, il primo dei quali sostiene ancora una bifora suddivisa da una sottile colonnina tortile.

Oppure, continuando la passeggiata, restare sorpresi dalla quantità di tracce di elementi architettonici medievali – bifore, monofore ad arco acuto, archi a tutto sesto, travi e chiavi di volta in pietra lavica – presenti in ordine sparso ma diffuso negli edifici minori, quasi sempre ormai inglobati, come massi erratici, in maldestri rifacimenti posteriori, la cui continua scoperta costituisce ancora il fascino di una passeggiata senza meta per le strade tortuose del centro storico.

Il fascino di questi frammenti di Medioevo, uniti a ciò che resta dell’antica cinta muraria, probabilmente di epoca sveva, lunga in origine circa 3 Km, con 8 torri e 12 porte, di cui oggi restano solo una torre e quattro porte, è perfettamente restituito dalla guida, Randazzo e la Valle dell’Alcantara, pubblicata da Federico De Roberto nel 1907 par la collana Italia artistica dell’Istituto Italiano di Arti Grafiche di Bergamo e recentemente ristampata da un piccolo ma intraprendente editore locale, Giuseppe Manitta di Castiglione di Sicilia.

La ristampa è stata curata e corredata da un’accurata introduzione di Dario Stazzone, che fornisce puntuali chiavi di lettura di un testo che, dato l’autore, non può essere considerato solo uno strumento ad uso del turista.

Si tratta infatti di uno scritto in cui coesistono, assieme alle suggestioni letterarie, la storia del paese, i valori artistici dei suoi monumenti religiosi e delle sparse persistenze medievali dell’architettura civile, gli spunti antropologici e l’attenzione al contesto paesaggistico di un ambiente già monumentale di suo, racchiuso com’è fra il massiccio dell’Etna e la valle dell’Alcántara, che scorre in molti tratti, su un letto di levigata pietra lavica, attraversando fra l’altro, più a valle rispetto a Randazzo, le famosissime gole, dette anche gole di Larderia, tra i comuni di Castiglione di Sicilia e di Motta Camastra.

Naturalmente non manca una puntuale descrizione delle caratteristiche architettoniche – prospetti, campanili, cupole – delle tre sontuose chiese, S. Maria, San Martino e San Nicolò, la cui fondazione va fatta risalire allo stile arabo-normanno, testimonianza ancora viva delle tre etnie – latina, lombarda e greca – che costituirono, in passato, il tessuto umano della città.

Ed è attraverso la descrizione delle opere d’arte e dei corredi liturgici che De Roberto, mentre mette in opera la sua competenza per le arti minori, ricostruisce il clima della vivace convivenza delle tre etnie, che facevano a gara nel dotare le rispettive chiese di preziosi oggetti e manufatti artistici.

Con la stessa attenzione viene descritta la collezione di reperti archeologici greci e romani del Museo Vagliasindi, scavati alla fine dell’Ottocento, in località S. Anastasia, a più di cinque miglia dall’odierno abitato, attualmente ospitati nelle stanze del Castello svevo ma fotografati da De Roberto quando ancora si trovavano nel palazzo del suo proprietario, in seguito distrutto dai bombardamenti.

In questa opera De Roberto lascia trasparire la complessità della sua scrittura, alimentata dalla sua vena artistica, dal rigoroso lavoro documentario favorito dalla sua esperienza di bibliotecario, dalla passione per la storia dell’arte e integrata dall’abilità nell’uso del nuovo linguaggio della fotografia.

Assieme al testo scritto, infatti, il varo è impreziosito dalla notevole la presenza di scatti fotografici di sua mano, una settantina, circa la metà del totale, nel solco della tradizione verista, risalente al comune maestro Luigi Capuana, con la differenza che Verga la prediligeva soprattutto come documento antropologico mentre in De Roberto, almeno in questo caso, prevale l’interesse artistico-monumentale.

Non meno rilevante è la chiave ‘civile’ con la quale De Roberto descrive la cittadina etnea quando, già all’inizio del ‘900, si addolorava nel constatare lo stato di degrado già avanzato del tessuto urbano causato, più che dagli eventi naturali (terremoti, eruzioni dell’Etna), dalla mano dell’uomo, nella furia di rinnovare le vecchie case, azione che ha provocato, fra l’altro, la distruzione o la trasformazione ormai irreparabile della vecchia cinta muraria e merlata che, ancora alla fine del secolo precedente, conferiva al paese la caratteristica impronta medievale, e di cui restano pochi e sparsi frammenti.

E non poteva sapere che questa azione di ‘ammodernamento’ delle case sarebbe continuata, a maggior ragione, negli anni più vicini a noi, né delle ulteriori irrimediabili distruzioni che sarebbero state provocate nel 1943 dai bombardamenti Alleati sui tedeschi in fuga.

I paesi del comprensorio dell’Alcàntara – Moio, Malvagna, Castiglione, Francavilla, Motta Camastra – sono invece descritti in modo più disorganico e affrettato, in alcuni casi addirittura, solo attraverso pochi documenti fotografici. E’ annotata, fra l’altro, la presenza di ruderi di diverse cube bizantine ma, curiosamente, si tace dell’unica ancora integra, quella di S. Vittoria, che si trova sotto Castiglione, in riva all’Alcántara.

Si tratta, in conclusione, di una guida, per quanto datata, ancora attuale e capace, a nostro parere, di suscitare la curiosità del viaggiatore moderno che voglia andare alla scoperta del territorio e della storia di un paese che, per tanti aspetti, rappresenta un unicum nel territorio etneo.

2 Comments

  1. E’ molto piu’ di una recensione di quel libro. E’ un riassunto critico molto efficace che risucchia nell’opera letteraria, risolvendo agilmente il problema dell’inizio di molte letture.

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