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Le trappole del fotovoltaico

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Tuccio D’Urso, ben noto ai catanesi per essere stato stretto collaboratore del sindaco Scapagnini e autore di alcuni tra i peggiori disastri di cui ancora piange la città, nelle vesti di dirigente regionale all’Energia, in occasione delle Giornate dell’Energia 2020”, celebrate a luglio di quest’anno a Catania, ci ha rassicurato sul suo impegno a favore del bene pubblico (sic!).

Si è detto impegnato a rendere la Sicilia autonoma sotto il profilo energetico entro il 2030, e addirittura esportatrice di energia, ottenuta potenziando soprattutto il ricorso alle fonti rinnovabili.

L’idea è quella di far crescere il ruolo del Fotovoltaico, oltre che potenziare l’eolico (su cui, come ben sappiamo da molte sentenze, ha già messo le mani la mafia).

Per quanto riguarda il fotovoltaico, D’Urso assicura che le autorizzazioni saranno date per “terreni di nessuno o di scarso valore agricolo”, senza spiegare chi sarà a decidere sul valore dei terreni, soprattutto in un momento in cui l’agricoltura siciliana è in sofferenza e anche colture in passato redditizie risentono di una crisi che le rende poco remunerative.

Le richieste di autorizzazione per realizzare parchi fotovoltaici, fino ad ora concentrate nella parte occidentale dell’isola, si stanno moltiplicando anche nella Sicilia orientale e nelle province di Siracusa e Catania. E tra le aree interessate da decine di progetti in attesa di approvazione, ce ne sono molte che ricadono nel cosiddetto “triangolo d’oro delle arance”, tra Lentini, Carlentini, Francofonte, un’area che non può certo dirsi priva di valore agricolo, nonostante le indubbie attuali difficoltà del settore.

Tutta l’agricoltura, del resto, e quella siciliana in particolare, avrebbe necessità di una prospettiva di sviluppo e di modernizzazione, all’interno di scelte politiche di ampio respiro che sono mancate in passato e non si vedono all’orizzonte.

In un contesto di crisi dell’agricoltura, la prospettiva del fotovoltaico diventa accattivante, tanto più che la legislazione attuale consente in Sicilia l’installazione di impianti fotovoltaici su terreni agricoli. Sul web circolano inviti pubblicitari ad affittare il proprio terreno per realizzare un impianto FV in “alternativa alla coltivazione agricola intensiva, in quanto i rendimenti per ettaro ottenibili sono molto superiori”.

Dietro la prospettiva di facili guadagni si nasconde, inoltre, la nobile giustificazione di stare operando a vantaggio dell’ambiente.

Che dietro l’aumento delle richieste di impianti fotovoltaici non ci sia un vero interesse per l’ambiente, ma un’ansia di fare business non sempre pulito, ce lo dicono due ordini di osservazioni.

Da una parte la tipologia delle richieste, che pone seri interrogativi sulla legalità delle stesse.

Dall’altra parte la constatazione delle ricadute distruttive che ha avuto altrove il diffondersi incontrollato di parchi fotovoltaici.

Andiamo per ordine.

Uno sguardo ai progetti di impianto fotovoltaico presenti sul portale delle Valutazioni Ambientali VIA/VAS è sufficiente per notare alcune strane coincidenze.

Quasi tutte le società interessate sono a responsabilità limitata (quindi con soci che non rispondono personalmente di quanto operato a nome della società), hanno – tranne alcuni grandi gruppi – un capitale esiguo (anche solo 10.000 euro), sede e amministratori delegati in Nord Italia, per lo più a Milano (a volte, stranamente, alcune aziende anche nello stesso edificio) o a Bergamo e provincia. Ci sono poi referenti e progettisti locali, in genere provenienti dalla Sicilia orientale.

Viene spontaneo solo a noi temere che queste ricorrenti caratteristiche siano segnali inquietanti? Quando poi troviamo casi di impianti da realizzare su terreni scoscesi con conseguente necessità di sbancamenti per rendere pianeggiante l’area, il pensiero non può non andare alla mafia, che – come sappiamo – controlla il movimento terra.

Sul piano ambientale, è ormai verificato che la diffusione del fotovoltaico comporta un alto rischio di desertificazione con conseguenze pesantissime sull’ambiente che si dichiara di voler salvare.

Che la terra coperta da pannelli diventi un deserto ce lo conferma l’esperienza di altre regioni italiane, in particolare della Puglia, dove, nel Salento, sono ormai gli stessi enti locali a lanciare l’allarme sulla devastazione del territorio causata dal proliferare indiscriminato degli impianti.

Se ne sono rese conto le stesse associazioni ambientaliste, soprattutto Italia Nostra, che, insieme a gruppi locali impegnati in difesa dell’ambiente, é ormai molto attiva nel contrastare il proliferare di impianti a terra.

Anche le recenti direttive dell’Unione Europea invitano esplicitamente a privilegiare la collocazione degli impianti sulle superfici edificate esistenti, comprese tettoie, parcheggi, aree di servizio, o su aree sicuramente non idonee ad uso agricolo, ad esempio le cave dismesse.

Lo scopo è quello di evitare il consumo di suolo agricolo ma anche quello di diminuire l’impatto paesaggistico e ambientale, comprese le esigenze di qualità dell’aria.

Anche scienziati ed esperti del settore hanno preso posizione sul tema, dicendo no agli impianti a terra, anche perché “l’Enea ha già fatto la stima che in Italia ci sono 800 chilometri quadrati di tetti ben disposti da ricoprire con il fotovoltaico e che questa superficie è sufficiente a fornire il 40% del consumo energetico italiano”.

Da queste posizioni si distingue Legambiente che ha ufficialmente sollecitato lo snellimento delle pratiche e vorrebbe si individuassero “sinergie tra fotovoltaico e agricoltura”, con impianti fotovoltaici installati su terreni agricoli non molto redditizi e che non hanno caratteristiche di pregio sotto il profilo ambientale.

Una posizione che rischia di rendere l’agricoltura una attività secondaria che nessuno si impegnerà a potenziare, neanche il governo, che non sarà più sollecitato a prendere misure che la incentivino.

Per ogni progetto di impianto fotovoltaico di cui si chiede l’approvazione, è previsto che si presenti uno studio preliminare ambientale con informazioni sull’importanza storica, culturale o archeologica dell’area, sulla particolare qualità o tipicità delle produzioni agricole e delle eventuali “emergenze botaniche” da tutelare, sulla fauna selvatica e/o protetta con studio degli impatti prodotti dall’installazione e dall’esercizio degli impianti.

Di fatto spesso viene allegata al progetto solo una notevole mole di carte poco significativa, arricchita da riferimenti alla legislazione corrente, tabelle, grafici e foto aeree, che hanno l’evidente scopo di dimostrare l’innocuità dell’intervento sull’ambiente circostante. Ci chiediamo se il risultato (o l’intento?) non sia quello di confondere i funzionari incaricati di approvare i progetti che dovrebbero verificare la veridicità di queste relazioni.

Le forzature, comunque, sono quasi inevitabili perché i progetti devono essere coerenti con il Piano Paesaggistico (Piano Territoriale Paesistico Regionale) che ha come obiettivi la stabilizzazione ecologica del contesto ambientale, la difesa del suolo e della bio-diversità, risultati che un impianto fotovoltaico non può certo garantire. Per sua natura, infatti, è più facile che determini uno stravolgimento degli habitat territoriali e un’alterazione degli ecosistemi.




3 Comments

  1. Articolo molto interessante. Da una parte si tende a ridurre il consumo di suolo, dall’altra si tende a consumare più suolo togliendolo all’agricoltura o peghio alla natura. Chi decide se un terreno è di scarso o nullo valore agricolo? Un terreno incolto è da buttare? Piamte, animali ecosistemi non valgono niente? Da anni oroponiamo come Lipu lutilizzo delle coperture delle case, dei capannoni industriali, delke tettoie ecc. Perché consumare altro suolo, produrre energia in un’area distante da dove viene utilizzata con perdite di trasformazione e di trasporto e non invece produrla in prossimità di dove sarà consumata?

  2. È un altro controsenso ambientalista dei nostri tempi…. togliere spazi all’agricoltura per sostituirli con impianti fotovoltaici ennesima cementificazione selvaggia di un territorio già duramente provato da urbanizzazioni e cementificazioni legali e illegali su tutto il territorio nazionale.
    Invece di limitare alluvioni ed erosioni del suolo ci si prodiga sempre più a che si verifichino tali eventi catastrofici per l’uomo e l’ambiente.

  3. Il fotovoltaico e’ a mio avviso un metodo gia’ morto in partenza.
    Il massimo di rendimento ce l’ha all’inizio.
    Poi comincia subito la curva discendente.
    A 2/3 del tempo assegnatogli gia’ ha un rendimento basso.
    Va dismesso e diventa rifiuto da smaltire.
    Inoltre il mercato impone l’utilizzo prevalente dei pannelli e, segnatamente, di quelli opachi.
    Laddove sono gia’ stati prodotti quelli trasparenti, i vetri, le tegole fotovoltaiche che si prestano ad applicazioni molto piu’ apprezzabili.

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