“We can’t breathe” (non possiamo respirare), “Le vite dei neri contano”, “Non c’è pace senza giustizia” sono slogan diventati ‘virali’ in tutto il mondo.
Anche a Catania, in piazza Università, sabato scorso, tantissimi giovani e un nutrito drappello di “anziani” hanno manifestato la loro indignazione per l’assurda morte di George Floyd, l’afroamericano ucciso da un poliziotto a Minneapolis (Stati Uniti, Minnesota).
Erano dinanzi agli occhi di tutti le immagini dell’assurda agonia: per quasi 9 minuti l’agente di polizia Derek Chauvin ha, infatti, premuto il suo ginocchio sul collo di Floyd, mentre gli altri poliziotti presenti non facevano nulla per fermarlo.
Durante il “microfono aperto” si sono succeduti interventi dei promotori e testimonianze di molti componenti della comunità africana presente a Catania. Non solo indignazione e riprovazione, ma anche la richiesta che i diritti umani siano garantiti ovunque e a tutti, a cominciare dal diritto all’accoglienza.
Non è mancata la condanna della cieca repressione contro chi lotta, negli USA, come nel resto del mondo.
Il drammatico episodio ha riacceso, in primo luogo negli Stati Uniti, la protesta di chi ritiene che la brutalità delle forze di polizia sia legata alle diseguaglianze razziali ancora esistenti. Peraltro, solo nel 1964/65 furono eliminate le ultime discriminazioni rispetto al godimento dei diritti civili degli afroamericani negli Stai Uniti.
Nelle innumerevoli manifestazioni organizzate negli USA hanno marciato insieme tutte le comunità presenti e Trump ha dovuto subire il no dell’esercito, da lui invitato a reprimere con la violenza le manifestazioni. Nel resto del mondo, alle significative mobilitazioni si è aggiunta la condanna esplicita di importanti leader.
Anche in Italia le manifestazioni sono state numerose e particolarmente partecipate, pur nella forma del flash mob e nel rispetto del distanziamento.