Anche Catania è scesa in piazza aderendo alla mobilitazione generale del 10 novembre contro il disegno di legge a firma Simone Pillon su separazione e affido.
La partecipazione non è stata tuttavia massiva e, tra striscioni inneggianti ai diritti delle donne e un megafono non particolarmente potente, la manifestazione catanese si è focalizzata più sul femminismo in senso ampio che sul ddl Pillon.
Disegno di legge che invece colpisce prima di tutti i bambini, relegandoli a nulla di più che oggetto di contesa tra le mamme e i papà in crisi.
Tra le novità introdotte c’è l’obbligo per i genitori di adottare il piano genitoriale, documento con cui si organizza il tempo libero e l’educazione dei figli, sin dalla prima fase della separazione e senza ascoltare la volontà dei veri protagonisti: i bambini. Indipendentemente dalla loro età.
Non solo dunque il progetto educativo si dovrà costruire nel momento più acuto della crisi, ma i figli ne saranno totalmente esclusi subendo passivamente le scelte dei genitori.
Si irrigidiscono anche le tecniche di ascolto del minore durante il processo, imponendo la presenza di un esperto e la videoregistrazione delle dichiarazioni del bambino; i genitori non potranno essere presenti, ma seguiranno la testimonianza del proprio figlio via web da una stanza separata.
E’ inoltre ristretta la possibilità per il giudice di porre domande al minore. In questo modo il bambino parlerà in un ambiente formale e per nulla accogliente, sotto occhi di estranei che potranno interagire pochissimo con lui, unico interlocutore di sé stesso.
Nulla rimane dell’ampia letteratura sull’importanza di far parlare i minori in contesti assolutamente informali, lasciandoli liberi di esprimere opinioni ed emozioni nei tempi e nei modi da loro preferiti.
Ancora, in merito all’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni ma non autonomi, il ddl abbassa la soglia dai 30 ai 25 anni e prevede che siano i figli a citare in giudizio i genitori per pretendere il loro diritto al mantenimento.
Si pongono quindi le basi per conflitti tra genitori e figli e si impone un tetto di età completamente scollato dalla realtà: quale 25enne di oggi è autonomo economicamente se decide di investire sulla propria formazione invece di cominciare a lavorare subito dopo la scuola dell’obbligo?
Ulteriore novità riguarda l’imposizione dell’affido dei figli minori (con)diviso tra i due genitori con permanenza paritetica nelle rispettive case.
In sostanza, i figli trascorreranno 3,5 giorni a casa di mamma e 3,5 a casa di papà, notti comprese. Questa scelta tutela i diritti dei genitori, ma non quelli dei bambini coinvolti che si vedrebbero solo sballottati da una casa all’altra senza trarne alcun beneficio.
Quest’impostazione è una stortura del concetto di bi genitorialità secondo il quale non è un pomeriggio in più trascorso in casa di un genitore piuttosto che in quella dell’altro a fare la differenza, ma l’assunzione di responsabilità verso i figli, la partecipazione reale alla loro educazione, la qualità del tempo trascorso insieme.
Strettamente connessi a questo obbligo, sono il mantenimento in forma diretta dei figli con conseguente annullamento dell’assegno di mantenimento e la messa in discussione del principio per cui la casa di famiglia rimanga alla madre.
Questi ultimi aspetti hanno quantomeno il pregio di porre i riflettori su una problematica sociale poco conosciuta, ma imperante negli ultimi anni: tra le persone senza dimora c’è oggi un’alta percentuale di padri separati.
Dovendo andare via di casa (immobile dove spesso hanno investito i loro risparmi), molti padri separati non riescono a sostenere le spese dell’affitto di un nuovo appartamento e degli assegni di mantenimento venendo in breve tempo schiacciati in una dinamica che li costringe a vivere in strada.
Altra novità proposta dal senatore leghista è il ricorso alla mediazione obbligatoria: per poter accedere alle aule del tribunale ogni coppia che decide di separarsi deve prima passare per un percorso di mediazione familiare…a proprie spese!
Nessuna deroga è concessa… neanche nei casi di violenza domestica, cosa invece espressamente vietata dalla Convenzione di Istanbul.
Imporre una mediazione forzata a due persone significa non rispettarne i tempi e le modalità di elaborazione della crisi, svilire il fondamento della mediazione familiare che è l’adesione volontaria della coppia e dunque è un fallimento assicurato.
Peggio ancora, stabilire che la mediazione sia a carico della coppia determinerà una fisiologica discriminazione in base al censo tra chi potrà separarsi legalmente perché può permettersi un mediatore e chi no.
Per finire, l’obbligatorietà della mediazione è riservata esclusivamente alle coppie sposate; tutti gli altri ex-innamorati sono liberi di separarsi come credono. Ben per loro, ma fa sorridere (d’amarezza) constatare l’ennesima disparità di trattamento tra coppie legate dal vincolo matrimoniale e coppie di fatto.
Imponendo obblighi a pioggia, questo disegno di legge ha il limite di irrigidire una materia, il diritto di famiglia, che imporrebbe massima flessibilità e che dovrebbe essere imperniato sulla valutazione di ogni singolo caso.
Niente infatti è più eterogeneo delle ragioni del cuore e degli equilibri propri di ogni famiglia.
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