A cosa serve un festival del cinema e perché il numero dei festival aumenta sempre di più in un’epoca di consumo culturale sempre più distratto?
Nella maggior parte dei casi, serve a promuovere opere che avranno comunque scarsa distribuzione nei circuiti ufficiali, o che la avranno per pochi giorni proprio grazie ad un eventuale premio ottenuto, facendo così capolino tra blockbuster globalizzati e farsettine provinciali che occupano uno spazio sempre maggiore.
I grandi festival, poi, puntano sul glamour, sul gossip, sul fashion, trovando nel “tappeto rosso” delle sfilate la loro arma promozionale.
Nulla di tutto questo al Nazra Palestine short film festival, la rassegna itinerante di corti palestinesi e non solo.
Dopo esser passati al Festival di Venezia (che non è solo fashion) ed aver ritirato i premi, i corti in concorso e fuori concorso hanno iniziato il loro viaggio per il mondo, testimonianza emozionante di un bisogno espressivo che non vuole arrendersi al genocidio culturale.
La tappa catanese si è svolta il 30 e 31 ottobre al cinema “King”, organizzata da AssoPace Palestina, Libera, Pax Christi, UDI e dal Cinestudio dello stesso cinema, che ha creduto fortemente nell’iniziativa.
Nelle due serate sono stati presentati i film premiati, a partire da Bonboné (Palestina/Libano) di Rakan Mayasi, miglior fiction, una storia delicata e toccante sul desiderio di maternità da parte di donne i cui mariti sono imprigionati (a volte per lunghi periodi).
Il regista ha fatto pervenire un messaggio commosso che riporta quanto scritto da alcune detenute del carcere di Napoli alle quali è stato mostrato il film: Ho visto l’amore, profondamente commovente, un ambiente realistico in un posto difficile, delicato, mai volgare, nonostante il tema trattato. L’amore non conosce le distanze: una caramella, un bambino, la speranza dietro e oltre le sbarre. Sei ore per la gioia sono sufficienti.
Il premio per il miglior film sperimentale è andato a Memory of the land (Palestina/Spagna) di Samira Badran [diverse presenze di autrici femminili nella rassegna], lavoro intellettualistico ma di grande impatto visivo.
The foreigner (Palestina) di Natalie Jubeh, ricostruzione di una scelta di vita radicale per amore del popolo palestinese, ha vinto il premio come miglior documentario.
Infine, al piccolo ma intenso doc La piscina di Gaza (Italia/Palestina) di Amjad Tantish è andato il premio “Vik”, dedicato al grande Vittorio Arrigoni (autore, vogliamo ricordarlo, dell’espressione che oggi ispira buona parte dell’impegno antirazzista: Restiamo umani!).
Oltre ai quattro premiati, altri nove corti di varia natura e di varia poetica che confermano la grande vitalità compositiva della forma-cortometraggio: idee geniali e provocatorie, ricostruzioni documentarie, denunce sociali, satire antisraeliane, descrizioni liriche.
Fra tutti, è ancora da segnalare un film documentario che riassume nella sua drammaticità l’esigenza, o forse il dovere, di mostrare queste immagini a quanta più gente possibile: lo spagnolo Gaza di Carles Bover Martinez e Julio Perez del Campo.
Gaza mostra un territorio devastato dopo l’ennesimo attacco israeliano, con immagini a tratti davvero insostenibili che hanno il coraggio di guardare (e farci guardare) l’orrore riflesso negli occhi spalancati di un bambino che ha subito lo shock di un bombardamento, o nelle parole di donne e uomini esasperati, disperati e perciò pronti a tutto.
Ancora una volta, la potenza delle immagini nella loro crudezza scuote le nostre coscienze e ci impone di non restare fermi e zitti, ci “comanda queste parole” (nel senso usato da Primo Levi).
Perché, ancora una volta, la nostra umanità passa attraverso la conoscenza e la diffusione non solo dei documenti, ma della loro significazione, della presa di coscienza che essi possono provocare.
Ecco a cosa può servire un festival cinematografico.
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