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Ciancio ha favorito la mafia, le argomentazioni della Procura

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Non solo i fratelli Montana come parte civile, anche la Procura (nelle persone dei sostituti Agata Santonocito e Antonino Fanara) ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere emessa, dal giudice dell’udienza preliminare (GUP), nei riguardi dell’imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo, accusato di “avere concorso, pur senza esserne formalmente affiliato, nell’associazione di tipo mafioso Cosa Nostra”.
Nel ricorso risultano molto chiari i comportamenti che vengono addebitati a Ciancio:

  • aver messo a disposizione dell’organizzazione criminale la propria attività economica, finanziaria ed imprenditoriale (comprendente ­ l’editoria, l’emittenza televisiva, la proprietà fondiaria e l’attività edilizia);
  • aver promosso affari di interesse dell’associazione mafiosa, anche mediando con soggetti Politici e della Pubblica Amministrazione;
  • aver costituto società a cui faceva partecipare persone legate all’organizzazione criminale;
  • aver partecipato alla distribuzione di lavori controllati direttamente o indirettamente dall’organizzazione mafiosa;
  • aver affidato lavori – per la realizzazione di progetti o affari da lui promossi – ad imprese mafiose o ad imprese a disposizione della medesima associazione mafiosa.

Non solo a Catania ma anche in altre parti del territorio siciliano.
I Pubblici Ministeri riaffermano la piena ammissibilità, nel nostro ordinamento, del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, smontando l’obiezione del GUP che aveva fatto riferimento alla sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che Contrada non potesse essere condannato.
I Giudici Europei, infatti, non hanno messo in discussione la sussistenza del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ma hanno affermato che di tale reato si può essere imputati (e condannati) “solo” dal momento in cui la giurisprudenza lo ha configurato in maniera sufficientemente precisa, ossia a partire dal 1994 in poi, con la sentenza Demitry, mentre Contrada era stato condannato per atti e comportamenti relativi ad anni precedenti.

Viene anche criticato il tentativo (strumentale?) del GUP di far rientrare il reato di concorso esterno in quello di partecipazione all’associazione mafiosa (art. 416 bis del codice penale) soprattutto in casi in cui – e potrebbe essere il caso di Ciancio – la durata temporale del contributo, e il livello di vertice ricoperto in determinate operazioni, farebbe venir meno la distinzione fra interno ed esterno all’associazione mafiosa.
I PM obiettano che né la lunga durata del contributo né il ruolo apicale ricoperto in alcune operazioni possono escludere la configurabilità del concorso esterno.
Non è necessario nemmeno che siano presenti ‘reati fine’, dal momento che ci troviamo in presenza di ‘reati di pericolo‘, sanzionati quindi a prescindere dalla commissione di altri reati.
Anche dal punto di vista procedurale la decisione del GUP andrebbe incontro – secondo i PM – a precise obiezioni. Al GUP spetta infatti non di esprimere una valutazione in merito alla colpevolezza o meno dell’indagato, ma soltanto accertare la sostenibilità dell’accusa nel dibattimento (accertamento “prognostico”, di prevedibilità).
I PM ritengono, inoltre, che non siano stati valutati elementi ‘probatori’ significativi desumibili dagli atti, senza che la motivazione di ciò sia stata adeguatamente esplicitata.
Il Giudice ha sostenuto anche che gli elementi acquisiti dal Pubblico Ministero sarebbero insufficienti, contraddittori e, comunque, non idonei a sostenere l’accusa in giudizio.
Al che i PM obiettano che l’incompletezza degli elementi probatori sarebbe invece una conseguenza dei limiti dell’informazione del Giudice, ammessi esplicitamente dallo stesso Giudice, anche per la gran mole degli atti.
Si tratta, in particolare, di atti afferenti all’iter per la costruzione dei centri commerciali e per lo sviluppo di altri affari quali il progetto Stella Polare o Xirumi (villaggio degli americani).
Per il Giudice tali accertamenti sarebbero stati tralasciati o incompleti, mentre invece, sottolineano i PM, in realtà sono stati regolarmente prodotti e indicizzati all’interno delle carte processuali e dimostrano che tutti gli affari menzionati erano infiltrati da Cosa Nostra catanese.
Peraltro, anche dalle intercettazioni emerge il particolare potere di Ciancio nell’orientare a suo favore gli atti della Pubblica Amministrazione, sia che si tratti di Sindaci, di Presidenti di Provincia e Regione o di deputati regionali e nazionali.
In relazione a tali procedimenti, è stato citato – per essere sentito in ordine ai suoi rapporti con Ciancio – anche l’ex Presidente della Regione, Raffaele Lombardo, che  però si è avvalso della facoltà di non rispondere, quale imputato di reato connesso.
Ancora, secondo i PM, il GUP non ha considerato in alcun modo gli elementi che emergono dalle sentenze sulla vicenda dell’Ospedale Garibaldi. Essi evidenziano un interesse di Ciancio affinché l’aggiudicazione della gara per la costruzione dell’ospedale avvenisse a favore di un’azienda collegata all’associazione mafiosa.
Tutti questi elementi, osservano i P.M., pur avendo una particolare rilevanza, non stati valutati dal GUP, impedendo la necessaria verifica dibattimentale, preclusa con la sentenza di non luogo a procedere.
In effetti, già nell’ordinanza del GIP del novembre 2012 si legge chiaramente che erano già stati raccolti gravi indizi sul rapporto tra Ciancio e Cosa Nostra.
Alcuni collaboratori di giustizia (Avola, Catalano, Di Raimondo, Siino, D’Aquino) e altre fonti di prova indicavano un rapporto tra Ciancio e il mafioso Ercolano Giuseppe, all’epoca rappresentante apicale della famiglia di Cosa Nostra catanese denominata ‘Santapaola- Ercolano’ concretizzatosi in reciproci aiuti e in articolate operazioni imprenditoriali volte alla realizzazione di grandi opere.
Tale tema non è stato dal GUP affatto focalizzato.
Quanto alle dichiarazioni del Di Carlo, considerato dal GUP inattendibile anche perchè il ‘pentito’ Calderone non aveva confermato le sue dichiarazioni, i PM spiegano che Di Carlo faceva in realtà riferimento a Calderone Giuseppe, morto nel 1978, e non a suo fratello Antonino, quest’ultimo collaboratore di giustizia, deceduto alcuni anni fa.
C’è poi il tema scottante delle indagini bancarie, su cui i PM osservano che il Giudice, nel paragrafo ad esse relativo, esamina solo la parte concernente l’individuazione di depositi di conto corrente presso istituti di credito svizzeri (contenenti la somma complessiva di oltre 50 milioni di euro, esportata illegalmente).
Leggi il testo integrale del Ricorso della Procura alla Cassazione.

1 Comment

  1. su presta sentenza e sulle questioni sollevate in tema di mafia si dovranno fare tante belle conversazioni. Allo stato delle cose non credo che il parare di tanti opposizitori del nostro becero capitalismo siano riusciti a fare breccia nel muro che divide e protegge la classe dominante da quella asservita e meno protetta.

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