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Fava racconta San Berillo (2)

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La miseria e la virtù
Catania / San Berillo, vent’anni fa
di Giuseppe Fava (I Siciliani 2/4/86)

Vi proponiamo oggi la seconda parte della inchiesta giornalistica di Pippo Fava su San Berillo e sul cosiddetto risanamento. Apparsa nell’estate-autunno 1966 sulle pagine de La Sicilia, fu ripubblicata da ‘I Siciliani’ vent’anni dopo.

In questo stralcio Fava esamina il rapporto pubblico/privato e l’intervento dei privati nell’operazione. E il giornalista e scrittore  si chiede se mai ci fu corruzione. Una domanda alla quale non può dare risposta.
Trovate la prima parte dell’inchiesta a questo link. Ecco la seconda.
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Una prima considerazione è questa dunque. Il risanamento del vecchio San Berillo, cioè la sua totale distruzione e la sua completa ricostruzione, con il trasferimento di ben trentamila persone in un’altra zona della città, costituisce sicuramente la più imponente opera urbanistico-sociale mai affrontata in Italia nel dopoguerra.
Da sola basta all’orgoglio civile di una città ed a dare la misura delle sue energie umane. Nello stesso tempo il risanamento del San Berillo costituisce forse la più grande iniziativa che sia stata realizzata negli ultimi venti anni in Italia con l’intervento del pubblico capitale.
Su questo non ci sono dubbi! E tuttavia non c’è nemmeno dubbio che, se il risanamento non fosse stato affrontato con il determinante intervento del capitale privato, esso non si sarebbe potuto probabilmente nemmeno realizzare o si sarebbe risolto in una catastrofe.
Anche il San Berillo sarebbe diventato un immenso baraccone (come l’ERAS, ad esempio) che sarebbe durato cinquant’anni e nel quale migliaia di compari, amici raccomandati, gabelloti, clienti e raccoglitori di voti avrebbero trovato una sistemazione dei loro personali problemi.
Gli uomini politici avrebbero cercato di salvare e valorizzare le aree edificabili loro e dei loro amici e clienti, gli appaltatori avrebbero cercato di corrompere tecnici e funzionari. I lavori sarebbero stati interrotti centinaia di volte per mancanza di fondi, per ritardo nei progetti, per sciperi, feste, crisi politica della regione, elezioni amministrative, dimissioni, rancori, prepotenze.
Non dimentichiamo che in Sicilia da cinque anni esiste uno stanziamento di undici miliardi per risanare le orribili piaghe di Palma di Montechiaro, e che non si riesce nemmeno a varare il progetto, perchè da cinque anni gli uomini politici della zona si dilaniano l’un l’altro, ognuno per impedire che sia il concorrente o il rivale a mettere le mani su quei miliardi.
Un ditta privata è fatto allora sicuramente da gentiluomini pensosi soltanto del bene pubblico? Per niente! Solo che la ditta privata ha un fine pratico, che diventa anche la sua morale: il denaro! Cioè guadagnare quanto più denaro nel più breve tempo possibile; l’interesse privato non ha bandiere, e nemmeno ideali di redenzione, né voti da conquistare, e per ciò appunto è razionale, veloce, pratico, assume solo gli operai che gli fanno comodo e non uno di più, li fa implacabilmente lavorare: tante ore la giorno, tanti metri quadrati di demolizione.
E’ una costatazione pratica, ma nell’attuale momento politico il risanamento del San Berillo poteva essere ragionevolmente affrontato solo con l’intervento dell’interesse privato.
Questa soluzione costituirebbe scandalo se si riuscisse a dimostrare che quei privati corruppero uomini politici per aggiudicarsi quell’affare. Ma cià non è dimostrato.
Gravissimo sarebbe invece ora se non si riuscisse a portare a termine il risanamento nei modi, nei tempi e nello stile esattamente previsti dalla legge. Questo resta da vedere!

(continua)

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