Il mecenatismo é un conto, la sponsorizzazione un altro. Si tratta di cose ben diverse anche se oggi qualcuno tende a contrabbandare la seconda per il primo con buona pace di trasparenza, cultura e democrazia.
Ha illustrato le ragioni della sua “Critica del mecenatismo” nell’aula 3 del palazzo centrale dell’Università di Catania, lo storico dell’arte Tomaso Montanari, esperto del barocco romano e non solo, in un seminario organizzato dal dottorato di ricerca in Studi del patrimonio culturale del dipartimento di Scienze umanistiche.
Montanari ha tirato in ballo immediatamente la Costituzione, “uno dei più grandi testi di letteratura artistica”, a difesa del nostro paesaggio e del patrimonio storico e artistico. Secondo lo studioso gli sponsor privati nei beni culturali pregiudicano la funzione civile dell’arte affermata nell’articolo 9 della Carta costituzionale. Sull’argomento sarebbe necessario un serio dibattito pubblico. In Italia, però, non se ne parla quasi.
La Francia, almeno nelle intenzioni e nelle leggi, ha voluto dare vita a un vero mecenatismo.
L’Italia ha fatto il contrario, strizzando l’occhio alle sponsorizzazioni più bieche, come quelle che hanno portato ad abbinare il Colosseo, immagine simbolo dell’Italia, alle scarpe Tod’s di Della Valle o ad “addobbare” il Ponte Vecchio per un banchetto della Ferrari. Si ingenera così un meccanismo perverso che, incoraggiando il business sull’arte, avvilisce sempre di più la donazione gratuita.
Lo Stato ci guadagnasse bene almeno! Cosa danno in cambio i privati? Quasi sempre gli spiccioli di un’elemosina contro i vantaggi di immagine e le maggiori entrate per le aziende.
Esempio contrario, forse unico, quello del giapponese Yuzo Yagi che nel 2010 fece restaurare a sue spese la Piramide di Cestio. In cambio ebbe solo una targa, accanto e non sul monumento, e i ringraziamenti del ministero.
Ma la critica di Montanari va oltre e punta dritto anche sui pericoli del mecenatismo, sul mecenatismo tout court; anche quello del passato. Lo dimostra la storia dei Medici che in cambio di elargizioni e donazioni alla fine si presero lo Stato.
A supporto delle sua tesi, Montanari racconta una storia raccapricciante, stavolta non italiana, che riguarda il Louvre e un signore nordcoreano misterioso e sconosciuto, nome, pardon nome d’arte, Ahae, fotografo naturalista che, a suon di euro sborsati dalle sue associazioni e società, riuscì a creare una serie di eventi e mostre alle Tuileries, a Versailles e, in barba alla carte etica del Louvre, addirittura a fare incidere il suo nome tra i benefattori del museo per antonomasia.
Peccato che con una solerte ricerca, un grafico-giornalista parigino riuscì a smascherare il sedicente artista e scoprire le seguenti verità: Ahah era in realtà Yoo Byung-eun, ricchissimo imprenditore ultrasettantenne, con qualche “ombra” giudiziaria; fondatore della Chiesa Evangelica Battista di Corea, sfiorata da un episodio di suicidio di massa; proprietario di un dominio web che chiama in causa addirittura dio www.god.com. ; responsabile della morte di 293 persone in seguito al naufragio di un suo traghetto appesantito da una soprelevazione scorretta. Ciliegina sulla torta e finale dell’avventura: un mandato d’arresto internazionale e il ritrovamento di un cadavere irriconoscibile ma a lui attribuito.
Insomma il pericolo c’è. Se si aprono le porte ai privati senza piantar prima i paletti dell’etica, della trasparenza e dell’utilità pubblica, si corre il rischio di vedere il nome di Totò Riina agli Uffici.
Senza arrivare a tanto, vengono offerte le belle immagini dell’arte italiana per “ripulire” quelle di aziende non specchiate. Un esempio, quello dell’Eni e del restauro della Basilica di Collemaggio a L’Aquila. Amnesty ha denunciato una serie di violazioni dei diritti umani nel delta del Niger legate all’azione di società petrolifere tra cui l’Eni e, inoltre, vecchio e nuovo amministratore delegato sono coinvolti in indagini giudiziarie, il primo per tangenti e il secondo per corruzione.
Il contratto parla chiaro. l’Eni ha sponsorizzato il restauro di Collemaggio per «un significativo ritorno di immagine volto a rafforzarne il valore e la reputazione aziendale».
La soluzione per Montanari sta nella fiscalità generale. “Certo, – dice- perché questo sia possibile, tutti dovremmo pagare le tasse, e tutti gli italiani dovrebbero farlo in Italia. E fa un certo effetto apprendere, per esempio, che decine di imprese controllate da Eni sono domiciliate fiscalmente in Olanda”.
Fin qui solo un resoconto sintetico e parziale. Per sapere di più della relazione di Tomaso Montanari potete leggere la traccia che il docente ha seguito, parlando a braccio, e che ci ha gentilmente inviato o , ancora meglio, il suo ultimo scritto “Privati del patrimonio”(Einaudi 2015).
Vi si confuta il “dogma della privatizzazione” sostenendo che non è conveniente distruggere il governo pubblico dei beni culturali basato sulla rete delle soprintendenze. Un modello che, secondo lo studioso, va invece «rafforzato e messo in condizione di funzionare, perché è l’unico che consente al patrimonio di svolgere la sua funzione costituzionale. Che è quella di renderci più umani, più liberi, più uguali».
Allievo di Salvatore Settis, blogger ed editorialista, Montanari è anche autore di bestseller come “A cosa serve Michelangelo?”, “La madre dei Caravaggio è sempre incinta”, “Le pietre e il popolo”, “Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà”.
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