460 bambini negli asili nido di Catania, questo l’obiettivo da raggiungere secondo l’Amministrazione del capoluogo etneo. Un obiettivo certamente di “basso profilo” per una città metropolitana, nella quale, inoltre, ogni giorno dall’hinterland si riversano migliaia e migliaia di persone.
Un numero decisamente inferiore rispetto ai 740 posti di cui aveva parlato, nel gennaio del 2014, il sindaco Bianco. Va, però, ricordato che il piano di rientro economico redatto dalla giunta Stancanelli (2012), votato, all’unanimità, dal consiglio comunale nel 2013, prevedeva la chiusura degli asili comunali.
Nè sarebbe giusto affrontare questo problema senza sottolineare quanto abbia pesato rispetto ai servizi sociali la drastica riduzione dei finanziamenti statali e regionali agli enti locali voluta da tutti i governi succedutisi nell’ultimo periodo (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi).
Riduzione che da un lato ha accentuato i processi di privatizzazione, dall’altro ha riversato sugli utenti un indiscriminato aumento dei costi; chi, ad esempio, pagava 24 euro mensili per il tempo prolungato si trova oggi a pagarne 155.
Tutto ciò, conseguentemente, ha determinato un forte ridimensionamento del personale. Fino al 2014 erano impiegate negli asili nido comunali di Catania 150 educatrici comunali e 99 ausiliarie, assunte dalle cooperative private.
Durante il 2014 l’amministrazione comunale ha provveduto a spostare circa la metà delle lavoratrici comunali in altri settori.
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Per quanto concerne le lavoratrici ausiliarie l’ultima gara d’appalto ha sancito il passaggio da 99 a 39 unità. Solo l’accettazione di un contratto di solidarietà da 20 ore settimanali, contro le 30 previste, ha potuto salvare molti, ma non tutti i posti di lavoro. Tant’è che oggi circa 25 lavoratrici ausiliarie svolgono il ruolo di supplenti, lavorando saltuariamente durante il mese.
In effetti, il tentativo dell’attuale Amministrazione di provare a salvare gli asili dalla chiusura sarebbe stato più credibile e coerente se si fosse posta il problema di modificare il piano di rientro, come ha fatto per la concessione del nuovo mutuo previsto dal DL 35.
Se non si fossero chiuse alcune strutture (si è passati da 15 a 11 asili nido), se non si incentivasse l’ulteriore esternalizzazione del servizio, attraverso l’utilizzo dei fondi PAC e della legge 285.
Secondo Catania Bene Comune, che in questi ultimi anni ha mantenuto costante la mobilitazione e l’impegno per rilanciare gli asili nido e garantire i livelli occupazionali, c’è ancora spazio per intervenire.
“Il Regolamento comunale degli asili nido prevede la creazione di un capitolo di bilancio ad hoc per consentire alle fasce più deboli di accedere gratuitamente al servizio. Tale capitolo, però, non è stato mai creato.
I principali vincoli di bilancio sugli asili nido riguardano la compartecipazione per i servizi a domanda individuale. Tale vincolo è facilmente eliminabile rivedendo nel loro complesso tutti i servizi a domanda individuale del Comune. È assurdo infatti che i parcheggi siano stati esclusi da tale fattispecie, mentre una loro reinternalizzazione consentirebbe di superare ogni vincolo.
Appare inoltre grave che, in percentuale, viene chiesto ai cittadini una compartecipazione del 36% per gli asili mentre altri servizi, tra cui impianti sportivi o espurgo pozzi neri, così come anche musei e mostre, hanno una percentuale di contribuzione dell’utenza molto più bassa.
Occorre, infine, un piano strutturato e oculato di investimenti che rilanci il funzionamento degli asili nido nei prossimi anni, considerando i pensionamenti del personale così come l’urgenza di incrementare un servizio così importante per la città e per le famiglie”.
Considerazioni e proposte concrete che meritano risposte puntuali se l’Amministrazione vuole effettivamente garantire un servizio sociale, come quello degli asili nido, di cui non è possibile fare a meno.