Ricordi ed emozioni che affiorano, ma anche prese di posizione sul presente, in particolare sulla solitudine in cui vengono lasciati i giudici che si misurano con questioni spinose come la trattativa Stato-Mafia. Questi alcuni degli ‘ingredienti’ del libro in cui il giornalista Salvo Palazzolo ha riorganizzato i contenuti delle conversazioni con Agnese Piraino, la vedova di Paolo Borsellino, Ti racconterò tutte le storie che potrò, edito da Feltrinelli.
Già gravemente ammalata, anzi forse proprio perchè consapevole della gravità del suo male, la signora Agnese ha rotto il suo decennale riserbo e ha parlato di sé, di suo marito e della sua famiglia, perchè il bagaglio dei suoi ricordi non andasse disperso.
“Cara mamma, ci hai fatto un bel regalo, in parte anche inaspettato” scrive nella prefazione il figlio Manfredi “malgrado ti frullasse nella mente già da tempo l’idea di mettere ordine ai tuoi ricordi e alle tante vite che hai vissuto”. E più avanti:
“Leggendo queste pagine ritrovo l’incredibile metamorfosi che la tua vita e lo stesso tratto caratteriale hanno avuto dopo quel primo incontro con papà [..]. Mi colpiscono ancora una volta la tua voglia di vivere, l’amore per le piccole cose, anche quelle un po’ frivole, e soprattutto l’inesauribile speranza di ritrovare la luce in fondo a quel tunnel in cui pensavano di averti cacciato definitivamente coloro che ti hanno privato troppo presto dell’amore della tua vita”.
Sì, proprio tante vite quelle vissute da questa donna, nata in una famiglia benestante, abituata all’eleganza, alle ‘prime’ del Teatro Massimo, ai ricevimenti, alla frequentazione di alti magistrati (suo padre era presidente del Tribunale di Palermo) ed onorevoli.
Paolo Borsellino aveva alle spalle un altro tipo di famiglia, più modesta, segnata da momenti difficili e soprattutto dalla morte del padre. Costretto a prendersi cura dei suoi fratelli, aveva lavorato e studiato. Alla ragazza che corteggiava non prometteva rose e fiori ma diceva: “La giustizia lenta è un’ingiustizia per la società. Ecco perchè non posso concedermi molti spazi per me. Tanta gente aspetta una mia decisione”.
Agnese sapeva che, scegliendo di sposare Paolo, avrebbe dovuto rinunciare “alle comode e dorate giornate di figlia di papà” e che iniziava per lei una nuova vita. Ma ormai era stata conquistata da questo giovane apparentemente timido, dalla sua carica di umanità, dalle sue “parole semplici, efficaci, dirette”, dalle sue battute dissacranti.
Per lui rinuncerà ai salotti esclusivi e alle cene eleganti, ancor prima che il marito si impegnasse nella lotta alla mafia. Borsellino era infatti insofferente verso il tono altezzoso dei membri del bel mondo, verso le vanterie di giovani figli di papà che, ai tempi dell’università, lo avevano disprezzato per il cappotto rotto o le scarpe bucate. Ed era abbastanza trasgressivo da gelare l’atmosfera di un incontro ‘dorato’ con una battuta sferzante.
Agnese non poteva nemmeno vantarsi, come le mogli dei suoi colleghi, dei gioielli o degli abiti ricevuti in dono dal marito. A lei Paolo si era impegnato a raccontare “la lieta novella che sta dietro tante storie di ogni giorno”. Le aveva detto: “Ti racconterò tutte le storie che potrò. Così il nostro sarà un romanzo che non finirà mai, sino a quando io vivrò”.
E per lui la lieta novella erano i fatti degli uomini, persino quelli dei mafiosi incalliti. E a rendere lieti questi racconti era lui stesso, “con il suo solito sorriso sornione” ma anche con l’aria severa con cui le diceva: “L’amore si mantiene fresco con una novità ogni giorno. Che non è il fiore o un regalo qualsiasi. Perchè tutto passa. Io ogni giorno mi devo reinnamorare di te. E tu di me. Inventandoci qualcosa di diverso.”
La loro vita subisce una svolta nel 1980 dopo l’uccisione del capitano Emanuele Basile. Niente sarà più come prima, “era l’alba di un grande incubo”. Inizia la serie di delitti che insanguinano Palermo e, per loro, la vita blindata su cui Paolo riusciva persino a scherzare “Pensa, noi giudici siamo in libertà vigilata, i boss e i latitanti vanno invece al mare e al ristorante”.
Agnese scrive “Non la chiamavamo neanche più vita blindata. Era la sua vita, anzi la nostra vita, punto e basta.” Le scelte di Paolo diventano le scelte di tutta la famiglia, coinvolgono la moglie, i figli.
Del rapporto del marito con i figli Agnese sottolinea la dolcezza, l’attenzione, la complicità. “Paolo non ha mai smesso di essere presente a casa con la sua vulcanica organizzazione e con l’immancabile buonumore” anche dopo le lunghe giornate trascorse nel bunker del palazzo di giustizia.
E quando la figlia Lucia gli chiese: “Se io farò un lavoro diverso dal tuo, come potrò lasciare un’impronta in questa terra?”, il padre rispose: “Ascolta Lucia, io farei il mio lavoro con lo stesso spirito anche se fossi il portiere di un condominio. Non è importante cosa si faccia, è importante che qualunque cosa sia fatta con amore e con tutte le proprie forze”.
Non c’è solo nostalgia e ancora tanto amore nei ricordi di Agnese, c’è anche indignazione e rabbia per “la mancanza di verità e di giustizia”.
Agnese è morta nel maggio del 2013 con la certezza che ci fossero ancora molte cose non chiare dietro la morte di suo marito. Si chiedeva che fine avesse fatto la sua agenda rossa, non riusciva ad accettare che qualcuno sapesse e non parlasse. Il suo è anche un invito a continuare a cercare la verità. “Ormai sono ridotta su una sedia a rotelle. Però non mi rassegno. Ecco perchè scrivo.”
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